Perché un museo della bufala
Il Museo della bufala e della mozzarella di bufala del Sud Italia è il primo allestimento museale di carattere demoetnoantropologico sull’argomento bufala e su tutto quello che gli ruota attorno. Recita così il documento progettuale che introduce l’iniziativa della Masseria La Morella di Battipaglia, che il prossimo 15 giugno aprirà le porte del suo nuovo museo al pubblico. Nella Piana del Sele, a un paio di chilometri dal centro abitato cilentano, la masseria ha origini antiche: la struttura agricola settecentesca, circondata da 30 ettari di frutteti, agrumeti e vigneti, ancora conserva le bufalare per la produzione del latte e per il ricovero di chi lavorava in azienda. E in questo contesto, dopo oltre un anno di preparazione, prende forma il museo che raccoglie documenti, foto e oggetti utili a ripercorrere la storia di un mestiere caratteristico del territorio (sin dalla metà del Cinquecento), recuperati nell’ultimo decennio dall’associazione Feudo Don Alfrè, perlustrando archivi statali e privati e rintracciando attrezzi da lavoro d’altri tempi, che il percorso museale metterà a confronto con le tecnologie odierne. Ma un’ampia sezione sarà dedicata anche agli oggetti di vita quotidiana, per raccontare la cultura contadina di bufalari, contadini e artigiani vissuti nella Piana del Sele.
L’allestimento del museo in masseria
Su tremila metri quadri di superficie espositiva, il museo in masseria è organizzato in dodici sezioni tematiche, e conta 5200 pezzi tra foto, documenti e attrezzi ben conservati, “che offrono un quadro sui diversi aspetti del mondo della bufala, dando forma alla più completa raccolta esistente in Italia di materiali antichi sull’animale e sulle attrezzature per la trasformazione del suo latte”. L’obiettivo, però, non è semplicemente quello di mostrare una catalogazione di reperti e documenti, ma di indirizzare i visitatori su percorsi didattici coinvolgenti, con l’ausilio di espedienti espositivi e il supporto di laboratori. Dunque si è lavorato per ricostruire gli ambienti del passato e il museo si impegna a studiare, conservare, valorizzare e presentare la memoria collettiva della comunità e del territorio che la ospita, prospettando un futuro di crescita sostenibile.
Alla scoperta degli antichi ambienti di lavoro
E infatti, il pubblico sarà accompagnato anche in visite guidate alle bufalare con l’antico caseificio, alla cantina di conserva per scoprire la lavorazione del burro (a 3 metri sotto terra, in un contesto ottimale per l’umidità) con le antiche zangole ancora funzionanti, all’area dell’affumicatura - dove le provature, legate con giunchi, e appese a lunga verga si facevano affumicare dai torsoli di granoturco - e al laboratorio della fuscella. Ambienti che restituiscono l’idea di una filiera articolata e salvaguardata grazie al tramandarsi di sapienze artigianali diverse. In una delle due antiche bufalare, dalla caratteristica struttura circolare, si è cercato di evocare proprio questa operosità, radunando tavoli spersori e attrezzi come il tritapasta frangicagliata, le spannarole, le compecine, il menacaso, il catuozzo.
Ma con le guide del museo (multilingue) si potrà accedere anche all’officina del buttero, alla stalla aperta – maestosa struttura a emiciclo del ‘700 in pietra di tufo, con relative mangiatoie per soddisfare più di 200 bufale - alla concimaia e alla zona dove si realizzava la cosiddetta cornunghia, un concime antico che veniva ottenuto dalla macinazione di corna e zoccoli delle bufale. Un altro progetto di tutela della storia agricola d’Italia che si aggiunge ai numerosi musei contadini presenti nel Paese.