Durante le feste natalizie le tavole vengono imbandite delle più disparate squisitezze; manicaretti e profumi che rendono speciali momenti di convivialità destinati così a diventare ricordi senza tempo. Con l’atmosfera che diventa magica anche grazie ai dolci tipici della tradizione. D’altro canto, che Natale sarebbe senza lievitati come panettone e pandoro? E pensare che quest’ultimo, così popolare presso coloro che non amano i canditi, deve la propria esistenza al suo "progenitore", il Nadalin. Un lievitato veronese che in pochi conoscono e che qualcuno intende preservare in tutti i modi. Come la famiglia Flego di Verona, una pasticceria che si batte da tempo per conservarne memoria e gusto.
Il Nadalin, l'antenato del pandoro
Della stessa famiglia dei lievitati di diffusione nazionale, il Nadalin di oggi condivide sicuramente l’incredibile retrolfatto agrumato. Infatti, come la sua evoluzione, ovvero il pandoro, non contiene canditi ma solo una pasta d’arancia che si scioglie all’interno dell’impasto risultando pertanto impercettibile al profilo tattile. A differenza del pandoro contemporaneo, esprime una caratteristica forma a stella: “costellato”, appunto, da ben otto estremità. E rispetto a molti lievitati delle feste, non dispone di quella proiezione verticale; non si sviluppa in altezza. Presenta poi una glassatura arricchita non solo da mandorle ma anche (e soprattutto) da pinoli. La sua ricchezza risiede nella semplicità: soffice e leggero. Un prodotto artigianale la cui ulteriore forza starebbe nel fatto di non essere stato ancora replicato a livello industriale. Certamente, un segno distintivo. Una rarità che attualmente si trova in poche pasticcerie del centro storico di Verona.
Secondo quanto si narra, il Nadalin avrebbe delle origini antichissime. Concepito dall’ingegno di un pasticcere di corte che tra il 1260 e il 1262 fu incaricato dalla dinastia dei Della Scala, signori di Verona, di pensare a un dolce simbolo della grandezza scaligera. Tale è stato il suo successo, come la sua unicità, che con il tempo è riuscito a consolidarsi nella tradizione veronese natalizia riuscendo persino a condizionare l’artigianato dei secoli successivi. Il pandoro, comparso a fine Ottocento, ne è il suo frutto.
Come è cambiato nel tempo
La ricetta del Nadalin è stata tramandata con orgoglio da alcuni pasticceri della città. Una produzione che tuttavia è cambiata negli anni: basso e compatto, biscottato e quasi “sbruciacchiato”, il lievitato è stato trasformato dai Flego. Dagli anni Cinquanta, il primo laboratorio della famiglia, gestito da Giuseppe Flego, ha ripensato il Nadalin donandogli innanzitutto un aspetto aggraziato. Allo stesso tempo, non è mancata l’intuizione (all’epoca quasi lungimirante) di offrirne una versione tanto voluminosa quanto fragrante.
La missione dei Flego
In quel di Verona, il Nadalin viene identificato storicamente con le feste natalizie. La volontà dei Flego però è quella di andare oltre il Natale: proporre questa produzione artigianale e senza conservanti tutto l’anno; intero o servito a fette in loco (tendenza che interessa i lievitati pure di altre pâtisserie). Perdipiù, non solo nella sua veste tradizionale, ma anche tramite varianti e farciture capaci di conquistare pure i più golosi: gianduia, crema al pistacchio, gocce di cioccolato o crema chantilly; talvolta, proponendo declinazioni che siano in linea con la stagione.
Questo campione di sofficità e lievitazione, rivela un’altra faccia di Flego, quella che trascende il modello di pâtisserie française e si fa custode di tradizioni e sensazioni che altrimenti svanirebbero: il gusto e il profumo della pasticceria di una volta; quella in grado di far tornare bambini.