Il recupero delle botteghe di montagna
“L'impegno della famiglia Musso va in controtendenza rispetto ai centri storici delle città e di tanti Comuni italiani che vedono perdere attività economiche. 200 Comuni in Italia non hanno più un negozio o un bar. Ad Acceglio si aprono esercizi commerciali. È una notizia che non è straordinaria, ma ammette emulazione. Su questo lavoriamo”. C’è la benedizione dell’Uncem sul progetto avviato proprio durante il lockdown da Franco Musso e suo figlio Ermes, nella piccola borgata montana di Chialvetta, frazione di Acceglio, a 1500 metri di quota nella Valle Maira (nella provincia di Cuneo). L’organizzazione che rappresenta e tutela le comunità montane di tutta Italia, anzi, prende l’iniziativa del singolo per farne il vessillo di una campagna di riabilitazione della cultura montana e delle aree interne, erroneamente relegate a un ruolo marginale, e invece essenziali per il rilancio delle attività economiche, sociali e culturali del Paese. In mancanza di un concreto interesse istituzionale (che Uncem ha sollecitato anche in occasione degli ultimi Stati Generali), spesso è l’intraprendenza dei singoli a fare la differenza. L’abbiamo visto di recente con la rete dei produttori e artigiani Samstag Mart, costituitasi tra le montagne della Valle d’Aosta per rinsaldare lo spirito di comunità. E sono molte le storie simili da scoprire nelle valli montane d’Italia. Tante pongono l’accento sul valore identitario, aggregativo e commerciale del cibo.
N’a buteo da favola a Chialvetta. Gelato e prodotti del territorio
La vicenda di N’a buteo da favola, la bottega da favola aperta dalla famiglia Musso a Chialvetta, riassume tutte queste premesse. Sottolineando ancora una volta l’importanza della bottega come luogo di incontro, educazione alimentare, risorsa economica, ruolo riconquistato dalle piccole attività deputate alla vendita di generi alimentari anche nelle grandi città colpite dal lockdown (ma si fa in fretta a dimenticare, per tornare alle vecchie abitudini). In un piccolo paese, l’obiettivo è ancor più centrato sul fornire un servizio utile alla comunità, rimettendo in moto una realtà a rischio isolamento come ce ne sono tante in Italia. Tutto è iniziato dalla produzione di gelato artigianale, venduto a bordo di un’apecar a Chialvetta.
Poi è arrivata l’idea della bottega di paese, forti dell’esperienza maturata con la gestione di un’attività analoga (ma più strutturata) nel comune di San Defendente di Cervasca, alle porte di Cuneo. A Chialvetta - un’ora di macchina dal capoluogo di provincia - però, il contesto è completamente diverso: l’agglomerato storico che si trova proprio in fondo alla Valle Maira è stato oggetto di recupero negli ultimi anni, perché è punto di partenza e arrivo di alcuni tra i più frequentati sentieri escursionistici che attraversano questa porzione di Alpi. La famiglia Musso, originaria di Chialvetta, ha riscoperto la dimensione del borgo proprio durante l’emergenza, e ha pensato di avviare l’attività che avrà tutta l’estate per rodarsi – con la speranza di intercettare anche il turismo montano, spalleggiando l’attività dell’unica osteria del paese - per capire se sarà sostenibile mantenere la bottega aperta tutto l’anno. I locali sfitti di proprietà dell’Osteria della Gardetta – prima supporter del progetto - sono stati riadattati per allestire il negozio, che il 13 giugno ha aperto al pubblico, presentando i prodotti tipici della zona, salumi e formaggi di artigiani locali, frutta e verdura del territorio e il gelato artigianale della casa (ma anche i più comuni generi di conforto che ci si aspetta da una bottega di paese).
L’importanza della cultura alimentare
Tra l’altro, proprio nel vallone dell’Unerzio (valle secondaria della Valle Maira, che fa capo ad Acceglio), e sempre per iniziativa dei prolifici titolari dell’Osteria di Chialvetta, già negli ultimi anni è stato avviato il ripristino della tradizione molitaria praticata nella zona agli inizi del Novecento, con il recupero del Mulino di Pratorotondo, rimasto in attività fino al 1957, e del forno comunitario di Gheit (non è l’unico esempio in Piemonte), che fino agli anni Cinquanta si accendeva una volta l’anno, alla fine di ottobre, al termine delle operazioni di macinatura dei cereali, quando ogni famiglia provvedeva alla cottura dei suoi pani. Un bel modo per trasformare la cultura alimentare montana in una risorsa turistica per il territorio. Del resto, come sostiene l’Uncem, “la montagna ha la concretezza per dare la sveglia al Paese”.
a cura di Livia Montagnoli