Nicodemo Librandi (al centro nella foto) non era un gigante del vino calabrese. Lui era il vino calabrese. È morto oggi, ultimo giorno di agosto, a 78 anni, il fondatore con il fratello Tonino della più grande azienda della regione dei due mari. A Nicodemo, e ad altri complici illuminati di quella avventura imprenditoriale in una terra che spesso non sa fare i suoi conti, va il merito di aver creduto a quei vitigni dai nomi scabri – Mantonico, Magliocco, Gaglioppo – che nessuno conosceva in Italia, e a trarne grandi e personalissimi vini: il Magno Megonio, il Duca San Felice, l’Efeso, il bianco Gravello, certi Cirò schioccanti e lontani da qualsiasi pesantezza vernacolare.
Librandi e la Calabria: l’identificazione con il territorio
Non esiste in Italia nessun’azienda che si identifichi con una regione come Librandi con la Calabria. E molto del merito è del “Professore”, come era chiamato a Cirò Marina. Uno che pur non parlando una parola di inglese aveva fatto viaggiare il suo vino in tutto il mondo. Uno che aveva voluto creare a Rosaneti dei giardini varietali sperimentali che sono un vero repertorio di tutti gli autoctoni della regione.
Un patrimonio di conoscenza e ricerca che Nicodemo e i suoi familiari e collaboratori hanno messo a disposizione di tutte le aziende del territorio, perché la conoscenza deve aprire le porte e non chiuderle. Da qualche anno Nicodemo aveva lasciato le redini dell’azienda ai figli Raffaele e Paolo e ai nipoti Francesco, Teresa, Walter e Daniela.