È morto Giampaolo Gravina, il filosofo che è riuscito a parlare di vino con un linguaggio nuovo

6 Feb 2025, 15:01 | a cura di ,
Una guida spirituale, non un semplice degustatore. Poliedrico universitario col pallino dell’estetica, Gravina era un assaggiatore unico, diretto, ma allo stesso tempo pacifico e riflessivo

Il mondo del vino e dell'enogastronomia per un attimo è rimasto senza fiato. È venuto a mancare Giampaolo Gravina, grande uomo del vino, professore stimato di filosofia e docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove ha segnato un'intera generazione di studenti. Una notizia che sconvolge chi lo conosceva da vicino e chi invece non lo conosceva personalmente ma ha apprezzato i suoi libri, chi ha seguito rapito le sue lezioni di Estetica prima all'Università Sapienza di Roma e Pollenzo poi, chi ha partecipato alle sue degustazioni e ai suoi seminari in cui ha sempre cercato di trasmettere un interesse consolidato per la critica del gusto e i suoi linguaggi. Giampaolo Gravina era una guida spirituale, non un semplice degustatore. Poliedrico universitario col pallino dell’estetica (Il vino è arte? è un volume che tutti dovrebbero leggere), era un assaggiatore unico, diretto, ma allo stesso tempo pacifico e riflessivo.

Esteta senza maschere

Laureato in Filosofia con il professor Emilio Garroni, è stato collaboratore di lungo corso di Edoardo Ferrario per la cattedra di Estetica all’Università Sapienza. Si è occupato di vino per oltre oltre trent'anni: ha aperto un locale innovatico a Roma (Uno e bino), condotto una rubrica a Radio3 Rai (Puri spiriti) e lavorato per quindici anni come vice-curatore della Guida I Vini d’Italia dell’Espresso, fino al 2016. Ha collaborato anche con la Guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso. Oltre all'esperienza alla Sapienza e Pollenzo, ha tenuto il Master in Filosofia del cibo e del vino dell’Università Vita & Salute di Milano. Non era un sommelier, ma del vino e intorno al vino aveva da dire molte più cose di tanti esperti, aveva da dire cose talmente interessanti e profonde che non ci si stancava mai di ascoltarlo. Il suo messaggio intorno al vino non era semplice, forse non era neppure per tutti, ma ha avuto l'indiscutibile merito di riuscire a parlare di vino con un linguaggio nuovo.

Per Gravina il vino era uno specchio per guardare il mondo. Cercava la complessità, il senso, la bellezza. Trovava sempre limitante l'uso del punteggio, si divertiva a proporre confronti e connessioni. È stato tra i primi in assoluto a sperimentare descrizioni diverse, capaci di riportare l’intimità e la voce di un vino. Allontanandosi dai registri del sommelier e dai canoni classici, ha aperto a una narazione capace di legare paesaggio, cultura, emozione, analisi. Gli anni all’Espresso hanno rappresentato uno dei momenti più alti della critica enologica italiana, fatta di ricerca vera, coraggio e piena indipendenza. E così i libri successivi.

È stato uno studioso e un divulgatore di grande calibro. Con Camillo Favaro ha scritto le due edizioni di Vini e terre di Borgogna (ArteVino); con Armando Castagno e Fabio Rizzari, dopo aver pubblicato i libri Vini da scoprire e La riscossa dei vini leggeri (Giunti), ha dato alle stampe un piccolo repertorio di Vini Artigianali Italiani (Paolo Buongiorno Editore), un testo stimolante che racconta di un microcosmo pieno di sorprese. Anche questo è un testo che non può mancare in libreria. Didatta colto ma spensierato, mai vanitoso, generoso nella profondità dei contenuti. Chi lo ricorda racconta di averlo apprezzato anche per la sua capacità di ascoltare le idee altrui, di scrivere montagne di appunti per poter approfondire meglio quello che gli altri pensavano intorno a un vino, una profondità di analisi frutto dell'ascolto. Uno tra i pochissimi capaci di cambiarsi d’abito a più riprese, da quello del docente a quello di edonista, senza sfoggio di maschere. Ci mancherà il suo sorriso buono. E il suo pensiero appuntito. Buon viaggio, Giampaolo.

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