Non c’è musica, non ci sono televisori accesi, non c’è nemmeno la radio. E’ questo il fascino pre-moderno della Belle Aurore, il bar milanese in zona Città Studi che in quasi quarant’anni di storia si è conquistato una certa sua fama tra i milanesi che rifuggono le mode ma non l’eleganza, che amano le persone ma non la gente, che amano l’aperitivo ma non l’apericena. Anima di questo luogo era fino a venerdì scorso Fiorenzo Corona, per tutti “Fiore”, morto all’età di 74 anni per una polmonite con complicazioni che lo ha ghermito mentre era reduce da un’operazione al cuore. La notizia ci ha messo qualche giorno a circolare ma quando si è sparsa ha dato un vero dolore a centinaia di milanesi, che hanno pensato di dover condividere un flusso di ricordi, di rimpianti, qualcuno si è spunto in via Abamonti per portare un fiore davanti all’insegna abbassata. Un fiore a “Fiore”. La sua città lo saluterà domani, 25 febbraio, al cimitero di Lambrate. E il reel con cui la pagina Internet la_belleaurore annuncia le esequie reca una foto di Corona con aria arcigna e il dito medio della mano destra puntato verso il fotografo. Perché lui anche da morto non vorrebbe piacere a tutti.
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Fiorenzo Corona nella foto che La Belle Aurore ha scelto per annunciare i suoi funerali
Regole e divieti
Del resto “Fiore” non era un tipo facile. Per qualcuno aveva un caratteraccio, ma era solo una scorza che nascondeva un grande cuore. La sua accoglienza nel bar in cui ha trascorso tutti i giorni finché la salute lo ha assistito poteva sembrare ruvida ma chi superava quel suo modo di metterti alla prova quasi sempre diventava un frequentatore assiduo del locale. Purché, sia chiaro, ne accettasse le regole per qualcuno insensate. Tra le quali il divieto della musica della radio e della tv, di cui abbiamo già detto, ma anche l’assenza di wi-fi, il divieto di unire i tavoli perché laggiù, tra via Abamonti e via Castel Morrone, non si può fare troppa cagnara e le comitive non sono gradite. E’ proprio questo il fascino del Belle Aurore, dal nome del bar del flashback parigino di Casablanca (“avremo sempre Parigi”, come dice Humphrey Bogart a Ingrid Bergman) così simile a un bistrot parigino di quelli in cui gli intellettuali si ritrovano e magari l’aperitivo diventa un dialogo filosofico, anche perché lì, non c’è altro da fare se non parlare. E a proposito: l’immagine che compare quando si sbarca sul loro sito è un cliente intento a leggere “il manifesto” (da cui peraltro il Gambero Rosso è nato), ciò che lo pone in uno spazio che non è qui e in un tempo che non è ora.
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Un locale cinematografico
Pavimento bianco e nero, tavolini in marmo, sulle pareti locandine, foto d’epoca e stampe novecentesche La Belle Aurore è certamente un posto di grande fascino, e non per caso è considerato il bar più cinematografico di Milano per il numero di volte in cui è comparso nei film. Questa era la casa di “Fiore” con le sue regole “scacciaclienti”, e del resto Milano è pieno di posti, quindi inutile stare a lamentarsi, meglio alzare i tacchi, semmai. Quello è un posto per tutti, ma non per ciascuno: e se i locali si valutano da chi li frequenta, alla Belle Aurore si ritrovano spesso e soprattutto volentieri Elisabetta Sgarbi, Antonio Scurati, Francesco Bianconi leader dei Baustelle. E poi giornalisti, studenti, artisti, scrittori.
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Fiorenzo Corona dietro al bancone
Gli orfani (e le lamentele)
Tutti oggi orfani di un bar che non era paragonabile a nessun altro eppure così simile al vero archetipo del bar come dovrebbe essere, un luogo in cui sentirsi a casa, in cui rilassarsi, parlare o tacere a seconda dell’umore, prendere un aperitivo a un prezzo onesto; non un posto in cui andare per guardare e farsi guardare. E infatti diverte leggere alcune recensioni sconcertate su Tripadvisor. “Locale finto bristot parigino, in realtà senza atmosfera, parecchio triste con personale non troppo simpatico. Aperitivi con contorno di 4 patatine vecchie e due olive. Non ci torno di certo”, scrive uno. “Salatini, birra, qualche patatina, un bancone di legno. Chiaro che pecca di contemporaneità. Per quello cercare le vernici”, considera con una certa logica un altro. “Locale che se la tira da bistrot parigino Per carità! a Parigi si respirano ben altre atmosfere. Lo posso ben dire io, che sono per metà parigina E poi i cocktail qui sono davvero banali per non parlare delle quattro patatine che ci hanno dato”, si stizzisce un’altra utente. Commenti che arrivano da clienti finiti alla Belle Aurore per sbaglio, molto differenti da chi invece ci andava per convinzione e quasi destino. Come Marco Rossari, che su Rivista Studio ama ricordare Corona così: “Per anni ho fatto la battuta sciocca: Quando non esco, vado alla Belle Aurore. Il bar era - è - una seconda casa, Fiore un coniuge discreto e accogliente, l’ambiente una famiglia sommessa e distante. Non è mai stato necessario avere appuntamento con gli amici, si trova facilmente un’anima con cui chiacchierare, oppure un angolo di bancone o di gradino all’esterno dove starsene tranquilli con i propri pensieri, a cucinare la tristezza o il buonumore insieme a un bicchiere. Era bello arrivare quando Fiore tirava su la serranda e vedere la sua faccia disgustata. Già qua”. Che vuoi farci: è stata una giornata dura».
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L'interno della Belle Aurore
E ora?
E per tutti coloro che hanno avuto o potrebbero avere una giornata dura a Milano, la speranza è che anche senza “Fiore”, che figli non ne aveva, La Belle Aurore continui così com’era, così com’è. Per ora pare che al bancone resti Andrea Frateff-Gianni, che i clienti già conoscono per averlo trovato spesso dietro al bancone. Per il resto Milano si merita un bar come La Belle Aururoe, così come si meritava un barista come Fiorenzo “Fiore Corona. O forse, dopotutto, no.