È difficile da accettare, ma con un dolce o un piatto di gnocchi si può morire. Sono gli ultimi casi di allergia alimentare che hanno portato a conseguenze gravi, inaspettate per le poveri malcapitate: una turista inglese di 14 anni, dopo aver assaggiato un dessert con arachidi, e una bambina di nove, soggetta a varie allergie (tra cui quella al frumento), giusto il tempo di qualche forchettata di gnocchi. Entrambe decedute a causa di uno shock anafilattico che purtroppo non ha lasciato scampo a nessuna delle due. E visto che episodi “sfortunati” di questo tipo non sono tanto rari, persino in locali di livello, che dovrebbero avvicinarsi a un servizio perfetto, abbiamo sentito un esperto per fare un po’ di chiarezza, il consulente Haccp Fabrizio Russo.
Nelle ultime settimane sono emersi diversi casi di cronaca in cui persone soggette ad allergie sono decedute dopo aver ingerito alimenti contaminati. Cosa ne pensa?
Prima di tutto, c’è una mancanza di comunicazione fra ristorante e cliente. Tra i professionisti della ristorazione servirebbe una preparazione adeguata. Come è necessaria una corretta prevenzione. Non solo sulla materia prima, ma anche su prodotti e ingredienti secondari. Da 27 anni esiste l’Haccp (un regime di autocontrollo igienico che previene i pericoli di contaminazione alimentare), eppure in pochi ne sanno davvero qualcosa. Al di là delle certificazioni (documenti che non bastano), servono controlli approfonditi.
Quanto è grande la differenza fra allergia e intolleranza?
È una differenza sostanziale che spesso non conoscono né cliente né ristoratore. Si confondono. Infatti, può capitare che il cliente dica di essere allergico quando in realtà è semplicemente intollerante. Anche perché sono diverse: l’intolleranza comporta disturbi gastrointestinali o al massimo una reazione cutanea, risolvibili in pochi giorni; l’allergia invece determina uno stress sistemico a cui non sempre si ha la capacità di far fronte, data la mancanza congenita di determinate immunoglobuline "protettrici".
Secondo lei, il personale di ristoranti, bar, gelaterie e via dicendo, tanto in cucina quanto in sala, conosce veramente la differenza?
La gente non sa nemmeno quali siano gli allergeni. Su 14 se ne conoscono forse cinque. Nella soia, per esempio, si ignora la presenza del glutine come allergene. A questo, si aggiunge il fatto che il ristoratore non può somministrare la “pennina”, ovvero l'unico farmaco in grado di far regredire lo shock anafilattico e salvare la vita della persona (auto iniettabile per via intramuscolare).
I locali che servono cibo quindi non sono preparati a dovere?
Si potrebbe già cominciare dalla stampa degli allergeni presenti in ciascuna portata visto che è previsto per legge dal 06/02/2015. Comunque, di base c’è poca conoscenza o interesse. Nei casi in cui un locale ricorre a consulenti haccp può darsi che questi non riescano a sensibilizzare a sufficienza i dipendenti. Senza parlare del fatto che alcuni produttori o ristoranti stampano una lista con più allergeni possibili per deresponsabilizzarsi. Si dà inoltre per scontato che il cliente faccia menzione allo staff delle allergie o intolleranze del caso.
Nel caso dei celiaci, che precauzioni si devono prendere?
Si stanno creando situazioni che non vanno bene. Anche pensare che un farinaceo non abbia glutine è una criticità di partenza. Ad ogni modo, bisogna sincerarsi della professionalità e serietà di un locale, oppure andare in posti in cui veramente la farina con il glutine non è mai entrata. Allontanando possibili demonizzazioni del genere, può non bastare che un’insegna sia gluten free. Per i celiaci, il posto in cui andare va deciso dopo un’accurata indagine. Non c’è una via di mezzo, almeno se si vogliono correre rischi. Soprattutto nel caso dei più fragili, considerate fra l’altro le possibili contaminazioni con glutine che possono esserci.
Negli ultimi anni è aumentata l’offerta dei prodotti alimentari per intolleranti e allergici. Quindi allo scaffale si trovano molti più prodotti che in passato. Ma il problema più grande rimane la ristorazione. È d’accordo?
Di medio-basso livello direi. Un ristorante scadente compra una maionese senza leggere che contiene la senape, altro allergene, senza dunque comunicarlo all’eventuale ospite allergico. Circostanza che si fa invece più remota nel caso di ristoranti stellati o di alta fascia, in cui si fa prima del servizio un briefing con tanto di comunicazione delle allergie (dichiarate preventivamente dal cliente), tavolo per tavolo.
In che modo il personale di un’attività ristorativa può essere formato per accogliere al meglio chi non può mangiare tutto?
Bisogna essere preparati ad accogliere tutti. Partire da una base di consapevolezza che oggi come oggi manca. È importante capire chi si sta servendo e cosa vuole mangiare. Non servono “bizzarrie”: in un ristorante di pesce, posso servire crostacei e molluschi, ma differenziando nel menù la presenza di uno piuttosto che dell’altro e non classificare tutto sotto la dicitura “pesce”. Un discorso che si lega alla trasparenza, così come ai controlli. Anche se, spesso, in caso di violazione, oppure di contaminazione con componenti allergizzanti, le sanzioni non sono commisurate al danno.
Ci sono degli alimenti o contesti cui dovremmo prestare maggiore attenzione?
Beh, se sei allergico devi spalancare gli occhi, considerare il rischio anche nelle piccole cose, senza sottovalutare nulla. Quanti sanno ad esempio che la salsa Worchestershire, uno degli ingredienti con cui si fa il Bloody Mary, contiene la salsa d’acciughe? Al giorno d’oggi, dobbiamo impegnarci tutti a essere ristoratori consapevoli e consumatori informati.