A volte ci si stufa di sentire certe storie, senza nomi, senza volti. Non per assenza di empatia, per sottovalutazione o menefreghismo, ma per la rabbia impotente che generano. Sdegno e frustrazione. Cosa possiamo fare noi di fronte a una molestia? Capita da sempre che donne che lavorano, o hanno lavorato, nella ristorazione “confessino” di essere state toccate mentre cucinavano o di essere avvicinate fisicamente dallo chef a capo della cucina. Che abbiano subito attenzioni di qualunque tipo non condivise, non cercate, non consoni a un posto di lavoro. Le risate dei colleghi uomini nel commentare l’atteggiamento di un maître che si avvicina da dietro a una cameriera mentre sistema le posate. La spinge mentre gli altri ridono. Cameratismo da squadra di calcetto. Le denunce? Pochissime, quasi nessuna. Un dramma del nostro settore pieno di omertà e miserie, un dramma a cui non riusciamo neppure a dare una spallata, a far lievemente emergere, silenzi dopo silenzi. Solo snervanti silenzi.

Orecchie e spogliatoi
La chiameremo Carla la ragazza che poco tempo fa mi ha contattata privatamente su Instagram con cui avevo già parlato tempo addietro. Una donna che ha provato a denunciare quello che le è successo sul lavoro. Come? Parlando, raccontando quello che le è successo, non rimanendo zitta di fronte al cuoco che gestiva la cucina in cui era impiegata e che aveva l’usanza inaccettabile di toccarla. Cosa le toccava? Il lobo dell’orecchio. Si avvicinava, le parlava, a volte con una scusa, altre maltrattandola per richiamare comunque la sua attenzione, e iniziava a toccarla. Un semplice orecchio direte voi, che sarà mai? Un’altra ragazza, che chiameremo Valentina, recentemente mi ha raccontato di attenzioni troppo attente del cuoco del ristorante romano in cui è stata quattro mesi. Quattro mesi lunghissimi. La toccava quando poteva, i fianchi, la schiena, entrava nella stanza adibita a spogliatoio quando era lì, appunto, per cambiarsi. Ho trovato coraggioso il modo in cui ne ha parlato, di fronte ad altre persone, d’un fiato ha raccontato quello che le era successo. Ma il dramma è che quell’uomo non ha subito denunce. Il dramma è che quella ragazza ha passato quattro mesi in preda all’ansia ogni volta che doveva andare al ristorante e non ne voleva parlare con nessuno, perché – parole sue – «avevo paura che non mi avrebbero creduta». Ne è uscita e ora nelle cucine non vuole più rientrarci. Come biasimarla.
Molestie in cucina: l'appello del Gambero Rosso
Il dramma è tutto qui: nel silenzio massacrante a cui si sottopongono le donne come Carla e Valentina, ad avere la meglio infatti è la meschina pratica del giudizio che imponiamo alle vittime di molestie in cucina che le rinchiude nell’omertà. Come se fossero loro il capro espiatorio di quello che successe. Come se un orecchio fosse meno importante di una coscia, come se essere obbligate a farsi vedere in mutante e reggiseno nello spogliatoio fosse n-o-r-m-a-l-e. Noi non lo consideriamo normale. E qui il nostro appello: scriveteci ([email protected] o su Instagram @rix_sonia), parliamone, raccontiamo insieme l’aspetto più controverso della cucina che non è accettabile, mai in nessuna forma. Anche se è “solo” un orecchio.