Qual è il migliore olio da frittura? Quante volte abbiamo sentito questa domanda. Per molti chef e consumatori è l’olio extravergine d’oliva. Ed è in parte la risposta giusta: è estratto meccanicamente dalle olive, quindi non c’è la zampa della chimica, ha un alto punto di fumo (si dice), contiene polifenoli. Ma la questione è più complessa e sfaccettata. Per orientarci nella scelta abbiamo interpellato il professor Dario Bressanini, docente di chimica all’Università dell’Insubria di Como, ricercatore universitario, divulgatore scientifico, autore di articoli e libri, diventato famoso per il suo blog Scienza in cucina e per pubblicazioni che approfondiscono il legame tra chimica e alimentazione (qui la ricetta della sua carbonara scientifica, e qui la sua cacio e pepe).
Il miglior olio per friggere
«La frittura è la cottura che strapazza di più le molecole contenute negli oli – spiega Bressanini – alle alte temperature queste molecole cominciano a decomporsi formando sostanze che possono essere nocive: quando si vede un olio fumare è perché si stanno liberando i prodotti della decomposizione termica. Anzi si sono già liberati». Quindi un parametro fondamentale per un olio da frittura è il punto di fumo, che deve essere superiore ai 180 °C, la temperatura classica per questo tipo di cottura: se è inferiore il cibo assorbe troppo olio, se è più elevata si brucia all’esterno, rimane crudo all’interno e prende un sapore amaro, e soprattutto si formano le sostanze tossiche.
La composizione degli oli
Il secondo parametro da tenere presente è la composizione degli oli. «Sono una miscela di trigliceridi con legati tre acidi grassi: saturi, monoinsaturi e polinsaturi. Quelli che resistono meglio alle alte temperature sono i grassi saturi, di cui sono ricchi l’olio di palma, l’olio di cocco, il burro di cacao, lo strutto e il burro chiarificato: possono arrivare anche sopra i 200 °C, ma sono da consumare con parsimonia perché in grande quantità nuocciono alla salute. I grassi polinsaturi, come nell’olio di semi di girasole classico, di mais e di soia, sono i peggiori per la frittura: hanno una struttura chimica che li rende instabili alle alte temperature e degradano più velocemente degli altri. I grassi monoinsaturi, di cui il principale è l’acido oleico, resistono meglio all’urto del calore elevato, come nell’olio di oliva, di semi di arachide e di nocciole. Nelle fritture entra poi in gioco anche il fenomeno dell’ossidazione, che si crea a contatto con cibi ricchi di acqua, come verdure o pesci, facendo degradare più velocemente gli acidi grassi».
I plus dell'olio raffinato
Ecco la notizia che sarà come un pugno sullo stomaco per i puristi. «In linea di massima più un olio è raffinato, più è alto il suo punto di fumo: il processo di raffinazione riduce la quantità di acidi grassi liberi e di altre impurità che interferiscono durante la cottura ad alte temperature». Parliamo dell’olio di oliva non extravergine e soprattutto di quelli di semi: essendo privi d’acqua, l’estrazione dell’olio avviene impiegando solventi chimici o applicando una pressione molto alta, che sviluppa temperature elevate. Per togliere i danni provocati dal calore dell’operazione precedente l’olio viene raffinato attraverso decolorazione e deodorazione. La domanda è d’obbligo: questi prodotti sono sicuri? Bressanini non ha dubbi: «I solventi impiegati durante l’estrazione e la raffinazione dell’olio vanno via nel processo di trasformazione».
Gli oli migliori per friggere
Ecco una carrellata dei migliori oli per la cottura più amata a livello globale. Ok l’olio extravergine d'oliva ma «il punto di fumo è condizionato dalla piccola quantità di acidi grassi liberi contenuti, non essendo raffinato, inoltre dalla varietà delle olive, da come sono state coltivate, raccolte e lavorate, dalla zona di provenienza, dalla stagione e soprattutto dall’acidità, che non si percepisce al palato – continua Bressanini – se è bassa il punto di fumo può superare i 190 °C, se è alta può scendere ben sotto i 180 °C. E poi con quello che costa è sprecato per la frittura, oltretutto i preziosi polifenoli contenuti si degradano a 180 °C».
«L’olio di semi di girasole alto oleico, ottenuto da una modificazione genetica non ogm per aumentarne la quantità di acido oleico (Bressanini ne parla nel libro Contro natura scritto in tandem con Beatrice Mautino), ha un punto di fumo superiore e una shelf-life più lunga rispetto all’olio evo, inoltre è «neutrissimo”, non interferisce su gusto e aromi». «L’olio di oliva non extravergine è l’ideale: non ha acidi grassi liberi, eliminati con la raffinazione, e contiene molti grassi monoinsaturi».
Molto buono, e con un prezzo inferiore, è l’olio di semi di arachide: «Ha un alto contenuto di grassi monoinsaturi e può arrivare a temperature elevate, è neutro dal punto di vita organolettico ed è perfetto per fritture di dolci».