Il cambiamento climatico è la madre dei problemi che sta attraversando il settore. «Ha riscritto la geografia del miele – spiega Giorgio Poeta, apicoltore con appena mille alveari distribuiti lungo la dorsale appenninica del centro Italia, dalle sue Marche fino a Benevento – non si produce dove prima si produceva tanto e si produce dove non si è mai prodotto, c’è una sovrapposizione delle fioriture». In Piemonte, il pozzo petrolifero del miele di acacia, alcuni apicoltori non ne fanno neanche una goccia. «E quel poco che abbiamo raccolto è di colore scuro – rincalza Francesca Paternoster, insieme alla sorella Elena al comando di Mieli Thun, la famosa azienda del padre Andrea, il visionario apicoltore trentino che ha rivoluzionato il settore del miele italiano – il paradosso è che i fiori c’erano ed erano belli ma non avevano nettare a causa del freddo e dell’eccesso di umidità».
Stessa cosa per il miele di agrumi in Sicilia, terra vocata per questo monoflora che rappresenta uno degli zoccoli duri della produzione italiana di oro giallo. «La situazione è tragica, le piante hanno le radici nel secco – commenta Carlo Amodeo, apicoltore palermitano famoso per l’ape nera sicula Presidio Slow Food, con alveari sparsi in tutta la regione, dalla Conca d'Oro alle isole minori – inverno e primavera senza piogge, temperature già alte, con queste condizioni i fiori non hanno nettare e le api non possono bottinare».
Italia è divisa in due
Stando ai report dell’Osservatorio Nazionale Miele e ai resoconti degli apicoltori, l’Italia è divisa in due. Al centro-nord, da metà marzo fino alla fine di aprile pioggia e freddo, «le famiglie di api dentro le arnie e fuori nevicava» racconta Giorgio Poeta. E mentre il nord stava sott’acqua, nel sud neanche una goccia di pioggia: la siccità sta mettendo in ginocchio l’agricoltura, gli allevamenti e le apicolture. Questo porta a situazioni e interventi estremi. «A giugno, a un mese dalla chiusura della stagione apistica, le api non bottinano, non producono miele, non nutrono la covata impoverendo la popolazione dell’arnia – continuano gli apicoltori – stiamo somministrando acqua e zucchero per farle sopravvivere». Un controsenso, e anche un rischio. «Se le coltivazioni non sono pulite e durante la fioritura hanno residui di additivi chimici, magari fatti di nascosto la notte da agricoltori disinvolti, mandi le api a morire oppure ti ritrovi il melario inquinato dagli agrofarmaci» aggiungono le sorelle Paternoster.
Le altre cause della crisi del settore
Non solo il cambiamento climatico: i fattori responsabili della crisi del miele sono un rosario. Primi fra tutti l’inquinamento e l’uso di additivi chimici in agricoltura: i neonicotinoidi, i killer per eccellenza delle api, impiegati come concianti del mais, poi il glifosato, un erbicida ancora in gran voga tra i coltivatori, poi pesticidi e agrofarmaci. Un problema per le api ma a lungo andare anche per l’agricoltura. «Si perderà l’humus e si andrà verso la desertificazione – aggiunge Carlo Amodeo – più che le api non sopravviveranno i contadini». Poi la concorrenza sleale: mix di sciroppi di zuccheri spacciati per miele realizzati da Paesi extra Ue, soprattutto dalla Cina, che entrano in Italia grazie alla complicità di alcuni Paesi europei. Mettiamoci anche la carenza di corridoi verdi, che le api possono percorrere per spostarsi da una fioritura all’altra, e le coltivazioni intensive e monocoltura, che sono i peggiori nemici della biodiversità e degli insetti impollinatori, impoveriscono l’ambiente e fanno saltare gli equilibri dell’ecosistema.
Il risultato – e questo è un altro paradosso – è che gli apicoltori hanno i magazzini pieni di miele, magari delle scorte degli anni precedenti, e i grossisti invasettatori non lo ritirano perché preferiscono acquistare il prodotto proveniente dall’estero, con prezzo all’ingrosso intorno a 1,80 euro al chilo – «contro i 5,80 euro che spendono i nostri apicoltori per produrre il proprio miele genuino e di qualità» sottolinea Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele. E mentre per il neozelandese miele di manuka c’è chi è disposto a spendere 180 euro al chilo e i nostri chef usano miscele estere, «noi non riusciamo a valorizzare una delle nostre eccellenze, con un alto livello di qualità e un enorme potenziale di narrazione e di marketing» è il commento di Francesco Colafemmina, filologo classico e apicoltore dell'azienda La Pecheronza diAcquaviva delle Fonti (BA). Nel frattempo, le api stanno vivendo una delle peggiori stagioni della loro storia sul pianeta, con fenomeni di cannibalismo dentro gli alveari pur di far sopravvivere la specie.