«Non si rinuncia alla stella». Per la Michelin il gesto di Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi, i tre ragazzi dietro il ristorante Giglio di Lucca, «che hanno comunicato alla guida Michelin di voler rinunciare alla stessa», appare inspiegabile. O meglio: inutile. C’è un modo molto semplice secondo cui si può ottenere lo stesso risultato: «Lo abbiamo detto più volte – dice Michelin interpellato dal Gambero Rosso –. E’ sufficiente non inviare più il modulo, lo sanno bene i ristoratori». Insomma, a leggere i fondi di caffè, o meglio le scie degli pneumatici dei signori di Parigi - cosa che la loro proverbiale reticenza ci costringe a fare - è inutile fare tutto questo can can: chi come i ragazzi lucchesi dichiara ai quattro venti di voler svitare dall’insegna la placca rossa più ambita dai ristoratori di mezzo mondo (perché nell’alta gastronomia ci sono solo due tipi di persone: chi dice di bramare il macaron e chi mente), sta solo trovando un mezzo differente per farsi pubblicità grazie alla stella. C’è chi finisce sui giornali e sui siti prendendola e chi cestinandola.
Che succede ora?
Come si comporteranno i curatori della guida a meno di un mese dalla “revelation” della nuova edizione, prevista il 5 novembre a Modena, non è dato sapere. Probabilmente Il Giglio sarà, ancora per un anno, al suo posto tra i monostellati della Toscana. Del resto ci sono i tempi tecnici per la stampa dei volumi, che probabilmente non consentiranno lo sbianchettamento dell’insegna dalla copia cartacea. E poi la Michelin potrebbe a buona ragione rivendicare il diritto di cronaca: visitiamo, valutiamo e premiamo, anche all’insaputa dell’insegna. Poi certo, l’anno prossimo, per l’edizione 2026, non è difficile immaginare che il desiderio dei tre giovani lucchesi verrà accontentato.
Sul sito c'è ancora
Per il momento, sul sito della Michelin, Il Giglio è ancora al suo posto. Con una descrizione decisamente accattivante: “Il Giglio – si legge - gode di una bellissima posizione in una delle tante piazze del centro storico dell’incantevole Lucca, di cui occupa un bel palazzo settecentesco, dotato tra l’altro di grazioso servizio all’aperto. La cucina è ispirata ai sapori italiani, sia di carne sia di pesce, che propone in maniera classica con rifinitura leggermente moderna, come per la patata sifonata e spolverata di bottarga che copre una specie di sugo ai calamaretti, finferli e crema piccante al prezzemolo. Sempre molto buono il pane”. D’accordo, le schede della Rossa non entrano mai troppo nel dettaglio, è la distinzione quello che conta.
E se diventasse una tendenza?
Certo che la scelta di Benedetto, Lorenzo e Stefano è a suo modo scioccante. I tre infatti non hanno chiesto il diritto all’oblio micheliniano dopo una stroncatura o un declassamento, come è avvenuto in altri casi. E certo, c’è il caso di Gualtiero Marchesi, che nel 2008 fece molto rumore con il suo “gran rifiuto” annunciato quando era all’Albereta di Erbusco in polemica con i criteri di giudizio e con il sistema dei punteggi: «Critici, da oggi vi critico io», disse il gran lombardo, ma lui aveva le spalle larghe ed era nella fase declinante della sua carriera (all’epoca aveva 78 anni). Altri casi di rifiuto sono noti, Sébastien Bras, Alain Senderens, Marc Pierre White. Ma quello lucchese è il primo caso di chef giovani ed entusiasti e soprattutto in grande ascesa che vedono nei galloni della Rossa un peso che tiene lontani i clienti intimoriti dalla prosopopea fine dining. E certo, c’è un po’ di giovanile snobismo nella decisione dei gigliati, ma se la scelta facesse tendenza ci sarebbe da preoccuparsi per la Michelin.