Umberto Montano risponde a Chef Rubio
Qualche giorno dopo le dichiarazioni di Chef Rubio sul Mercato Centrale di Torino, il patron Umberto Montano, l'imprenditore fiorentino che il format l'ha ideato e fatto crescere negli ultimi anni, risponde al cuoco romano. E lo fa entrando nel merito di un'affermazione - “spero che fallisca” - che non ha mancato di destare polemiche per la banalità di un assunto che non tiene conto, per esempio, delle ricadute occupazionali che il nuovo polo gastronomico di Porta Palazzo ha avuto (e potrà avere in futuro) sulla città. Sollecitato anche dal nostro articolo a riguardo, Montano ci ha inviato la sua riflessione, amareggiata (“il personaggio e le sue parole sono palesemente artefatte per raccogliere ‘consensi mediatici’ e poter dare scopo a una 'identità' che altrimenti sarebbe costretta a confrontarsi sul terreno ben più difficile del gioco reale, con le sue regole d’ingaggio e i suoi valori: serietà, dignità, professionalità, misura, responsabilità”, premette Umberto Montano), a riguardo. La riportiamo qui, sperando, come sempre, di alimentare un dibattito finalmente costruttivo in grado di individuare con maggiore lucidità dove sono le cose artefatte e dove sono quelle autentiche…
“Spero che fallisca”
Non conosco questo ‘chef’, e confesso che non ne avevo mai sentito parlare di lui prima d'ora. Dopo l’episodio, mi sono informato a riguardo, e francamente mi stupiscono tanto la veemenza quanto la superficialità della sua affermazione, che credo sia in palese conflitto con l’immagine stessa che il personaggio in questione vuole dare di sé. È una mia impressione, perché lo conosco poco, o il mitico chef non chef fa della missione sociale la sua bandiera purificatrice? Si fa per un mondo migliore, dice lui. E così usa l’impegno sociale come mezzo per dare significato a un personaggio, sì mediatico, ma duro e inconsistente.
Lo spettacolo televisivo – con le sue luci, i filtri, la preparazione - può rendere grande anche la piccineria umana, e non v’è nulla di più semplice per dare un poco di spessore a chi non ne ha, di fare ricorso al sociale e passarlo in TV. Nessuno controlla quanto si guadagni dall’uso strumentale dell’impegno sociale.
Sappia, chef Rubio, che quel mondo, il suo, fatto di insulti gratuiti e distanze di comodo non è il mondo migliore che lui va cianciando, ma quello putrescente delle immagini vuote di cui la società vorrebbe liberarsi.
Il Mercato Centrale “spero fallisca” apre a molti dubbi soprattutto in quella direzione, la solidarietà sociale. Mi chiedo che spirito possa muovere un soggetto pubblico, che sventola spesso la bandiera della solidarietà, della cultura e dell’inclusione, a ‘sperare’ nel fallimento di un progetto onesto e trasparente, che accoglie un gran numero di lavoratori (oltre duecento) e che, in quanto tale, è proprio l’emblema della società più auspicabile.
Mi chiedo se l’uomo - messo difronte a Francesca, Alessandra, Andrea, Myriam, Fatima, Rubén, Nicola, Ugo, Mark, Alberto, Beppino, Roberta, Katia, Chiara, Germano, Moussa, Bara, Alain, Lynda, Walid, Davide, Omar, Mariana... E continuate a nominare e contare fino a duecento e passa - userebbe la stessa spavalderia di facciata che ha messo in quel brutto termine, per comunicare loro guardandoli negli occhi: “Fallito il Mercato non c’è più il lavoro per te!”
Al di là delle fortunate trovate da ‘chef non chef’, così artificiosamente creato negli studi televisivi, proprio come quelle plastiche che caratterizzano i mercati che a lui non piacciono (e meno che mai a me, detto per inciso), vorrei vedere l’uomo di fronte alle responsabilità reali. Tanta spavalderia lascia supporre che non abbia mai avuto occasione di imbattersi nei troppi disoccupati che costituiscono la più grave ipoteca per la civiltà stessa del nostro Paese, non si è mai imbattuto in operai di fabbriche e aziende che, appunto, falliscono, e privano del lavoro famiglie che darebbero un pezzo di sé per averne uno sano e retribuito come quei 200 che il nostro ‘chef solidale’ spera vadano falliti.
Io leggo, in quella intervista e in quella affermazione, la profonda solitudine di chi, smarrito nell’assolvere a un ruolo troppo costruito a tavolino, non sappia proprio più dare dimensione alle parole. Delle parole ha perduto il senso, e può spiegare se stesso solo se le dice gravi e brutte.
Leggevo stamane, in un bellissimo articolo del solito Francesco Merlo, un riferimento a Erostrato di Sartre, metafora della misantropia che affligge il mitico Rubio, con l’ossessione di volere apparire sempre più grande, e il suo inseguire le vicende che possano renderlo tale.
Con l’andare però, chef Rubio - che di consistenza non ne ha tanta - ha perso contezza di sé e confonde i piani. Non sa più cosa sia giusto o sbagliato, vero o falso, e ha finito col credere che si possa far passare per una buona azione sperare che Germano - il ROM di 30 anni con 3 figli piccoli, che ha ottenuto per la prima volta al Mercato Centrale di Torino un vero contratto di lavoro per le manutenzioni e le pulizie - torni a fare l’accattone di ferro vecchio per mandare avanti la famiglia.
Umberto Montano