A Senigallia si è concluso ieri Meet in Cucina Marche, il congresso gastronomico dedicato alla cucina regionale ideato dal giornalista Massimo Di Cintio, quest’anno svolto in collaborazione con l’Unione Regionale Cuochi Marche e con le cinque associazioni provinciali.
Gli otto chef (più un gelatiere) presenti erano chiamati a presentare al pubblico i progetti di ricerca e sperimentazione che stanno sviluppando nelle loro cucine, con un focus sui prodotti marchigiani: sono state mostrate circa una trentina di ricette, alcune inedite.
I protagonisti di Meet in Cucina Marche
Tanti i nomi che si sono succeduti sul palco del Teatro La Fenice: Sabrina Tuzi (La Biglietteria Bistrot, San Benedetto del Tronto), Pierpaolo Ferracuti (Retroscena, Porto San Giorgio), Paolo Brunelli (Gelateria Cioccolateria Paolo Brunelli, Senigallia), Moreno Cedroni (La Madonnina del Pescatore, Senigallia) – che ha colto l'occasione per presentare il suo nuovo libro “Cedroni. Il pensiero creativo che ha cambiato la cucina italiana” - Errico Recanati (Andreina, Loreto).
E ancora Stefano Ciotti (Nostrano, Pesaro), Tiziano Rossetti (Angolo Divino, Urbino), Vincenzo Cammerucci (Agriturismo Camì, Lido di Savio, Ravenna) considerato il più importante maestro e mentore di gran parte dei cuochi marchigiani, compreso Mauro Uliassi (Uliassi, Senigallia), che ha chiuso i lavori con una lezione, di vita e di tecnica, rivolta ai tantissimi ragazzi degli alberghieri presenti in sala, letteralmente catturati dalle parole del cuoco marchigiano.
La lezione di Uliassi ai ragazzi degli alberghieri
Uliassi, reduce della conferma della terza stella, ha parlato di talento, passione, desideri, palato, ricordi, emozioni. Ovviamente ha anche presentato alcuni piatti dell’attuale Lab. “Quando abbiamo iniziato a fare questo mestiere – parla di lui, della sorella Catia e del marito di lei Mauro Paolini - al di là del grande entusiasmo, non avevamo la benché minima idea di dove andare a parare. Ora col senno di poi quello che certamente avevamo riconosciuto in parte il nostro talento. C’è una grande differenza tra passione e talento, la passione è quello che a noi piacerebbe fare ma non è detto che coincida con il nostro talento. Viceversa non è detto che il mio talento, quello a cui sono naturalmente portato, coincida con la mia passione. Ognuno di noi ha un talento, il problema è riuscire a farlo venire fuori”.
Si rivolge proprio ai ragazzi in sala Uliassi: “Io non ho cominciato a fare questo mestiere per volontà, ma per opportunità, poi solo ad un certo punto si sono create le condizioni per cui ho scoperto il mio talento; siccome il mio talento mi stava dando degli eccellenti risultati mi ci sono fortemente appassionato”.
Il cuoco deve avere palato
La passione, dunque, non basta. Almeno se si vuole raggiungere le vette degli chef presenti a Meet. “Non è sufficiente desiderare continuamente qualcosa, devi far corrispondere al desiderio un’azione, e il desiderio deve essere anche compatibile con quelle che sono le tue possibilità. Per questo è importante scoprire il proprio talento, perché è il talento che poi ti permette di concretizzare il desiderio. Solo così potrai essere concentrato hic et nunc”. Ma qual è il vero talento del cuoco? “Fondamentalmente è uno solo, deve avere il palato: senza il palato il cuoco non va da nessuna parte. Vale a dire saper mettere assieme, attraverso tecnica e tecnologia, gli ingredienti e i gusti, affinché piacciano agli altri”.
Il cuoco deve studiare
“Dunque, una volta individuato il talento e aperto un ristorante - presupponendo che il tuo palato, almeno al 98%, corrisponda al palato degli altri - poi il resto viene da sé. E quando metti in moto questa sorta di onda positiva che ti muove verso gli altri, incredibilmente attiri persone che hanno il tuo stesso identico desiderio”. Agli inizi per lo chef marchigiano è andata così ma per poter avanzare nella conoscenza non bastano né talento né passione, bisogna mettersi a studiare: lo chef da molti anni a questa parte, durante quaranta giorni l’anno, chiude il ristorante per studiare. È così che nascono i Lab, i caratteristici menù degustazione di Uliassi.
La genesi dei Lab
“Ogni anno facciamo quaranta giorni di studio e ricerca nei quali cinque persone si mettono a pensare a delle tecniche o degli ingredienti, e poi come per magia (in realtà attraverso le nostre azioni e le nostre capacità), realizziamo dei piatti. Che devono piacere a noi, ma soprattutto agli altri: vedere il piacere negli occhi degli altri è impagabile”. Ricorda Uliassi, che sul palco di Meet ha presentato anche alcuni piatti dell’ultimo Lab.
I piatti dell’attuale Lab
Come l’incredibile ostrica alla contadina: “Siamo partiti pensando alle nostre tradizioni, all’universo di ingredienti da cui attingere e ai ricordi a cui agganciarci, però l’obiettivo era arrivare a qualcosa che a livello emozionale fosse trasversale, fosse riconosciuto da più persone. Come? Concentrandoci sul livello olfattivo, è l’olfatto che fissa nel cervello l’esperienza che ci fa ricordare le cose”. Dopo una moltitudine di ragionamenti hanno creato un’ostrica con il grasso di prosciutto di Carpegna Dop, tipico dell'omonimo borgo situato all’interno del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello.
Qual è la nota trasversale? “Siamo andati a mettere assieme la sapidità salina, marina dell’ostrica bretone condita con vinagrette di cipresso limonato, con il grasso che ha una nota rancida perché abbiamo preso la parte più ingiallita. Era quella che ci interessava, è la nota trasversale che smuove un qualcosa di ancestrale presente nel nostro cervello. Il rancido è l’odore delle case di campagna, un misto di fumo, cera d’api e muschio, il rancido lo annusi quando entri in una salumeria, è un odore buono, è qualcosa che smuove emozioni e ricordi”. Il piatto è poi completato con le olive cotte sotto la brace, per dare la nota di fumo, ed è un altro legame con i ricordi.
Ricordi, emozioni, suggestioni, tecniche che accompagnano l’intero Lab, con le canocchie e le loro uova cotte à la coque, l’ossobuco alla marinara (il geniale ibrido tra ossobuco alla milanese e trippe di baccalà al pil-pil), l’anguilla affumicata alla brace, bergamotto e arancia dove cervello e palato sono costantemente sollecitati o le lumache, gobbetti e prezzemolo. Un Uliassi e brigata (quando lo chef presenta i piatti non ne nasconde la paternità dei rispettivi cuochi) più consapevole e in forma che mai.
a cura di Annalisa Zordan
foto di Alberto Blasetti