Il nuovo cd del fondatore dei Subsonica è tutto sul vino. Max Casacci trasforma la vigna in musica

2 Apr 2025, 08:54 | a cura di
Esce Through the Grapevine, in Franciacorta, il nuovo EP di Max Casacci composto esclusivamente con i suoni del vino e dei suoi ambienti di lavorazione. Un viaggio sonoro tra cisterne, trattori, bollicine e botti, nato durante il Festival della Franciacorta

Non c’è una sola nota di chitarra, né il suono di un pianoforte. Eppure Through the Grapevine, in Franciacorta suona come un album vero e proprio, con ritmi, melodie, groove e addirittura momenti di puro abbandono fisico. L’ha composto Max Casacci, cofondatore dei Subsonica, utilizzando esclusivamente i suoni del vino e dei suoi processi di lavorazione: botti, cisterne, calici, trattori, mosto in fermentazione.
È il terzo capitolo del suo progetto Earthphonia, un’indagine sonora – e sensoriale – su paesaggi, ambienti, rituali. Dopo aver trasformato in musica gli ecosistemi naturali nel primo disco e le città nel secondo (Urban Groovescapes), Casacci torna con un lavoro interamente dedicato al vino, realizzato senza strumenti musicali.
«Ha significato entrare in connessione intima con un mondo che non conoscevo così da vicino, così in profondità. Ed è qualcosa che la musica mi permette spesso di fare. Non sarò mai abbastanza grato a questa “vocazione” che la musica rappresenta nella mia vita e nelle mie esperienze,» racconta. «Entrare in contatto con un luogo come la Franciacorta – dove non ero mai stato prima – è stato prima di tutto un’esperienza di vita, prima ancora che musicale».

Dalla vendemmia al beat

L’occasione nasce durante il Festival della Franciacorta, quando Casacci viene invitato a sonorizzare le Cantine Bersi Serlini. Lì, nelle sale buie dove si svolge il remuage, i visitatori ascoltano suoni registrati esclusivamente in loco: il tintinnio dei calici, il gorgoglio delle bollicine, lo sgocciolio delle cisterne. «È stata un'esperienza strettamente musicale,» spiega. «Durante le visite guidate in cantina ho creato un tessuto sonoro usando esclusivamente i suoni prodotti dagli oggetti presenti: botti, bottiglie, remuage, ambienti sgocciolanti… Tutto ciò che le persone vedevano intorno, io lo restituivo in forma di musica».
Non si tratta di suoni ambientali decorativi, ma di vere e proprie composizioni site-specific, in cui ogni elemento acustico corrisponde a qualcosa che si vede e si tocca. «Le persone entravano in cantina e venivano avvolte da una musica composta esclusivamente con i suoni reali di ciò che avevano intorno».

In una prima fase, i brani erano lunghi, pensati per accompagnare l’intera durata della visita. «Erano dilatati a venti minuti, mezz’ora. Avevano un respiro completamente diverso rispetto a quello che poi è successo nelle tracce,» racconta. «Però è stata talmente tanto una bella esperienza che ho voluto poi in qualche modo ricompattare il tutto in un formato più fruibile, da EP e da album, proprio perché non mi era mai successo di fare una cosa di questo genere. È stata un’esperienza particolarmente significativa, anche dal punto di vista della fruizione della musica: diversa da quella dei dischi, dei concerti, dei live set».

Quando il trattore fa ballare

Il primo brano, Cantine, descrive la lente trasformazione del vino nell’oscurità. Cisterne, invece, è costruito con elementi più industriali: i contenitori in plastica, le macchine per le etichette, il suono «metallico e ordinato» delle cisterne percosse come tamburi marziali. Ma è con Trattore (Vendemmia cassa dritta) che il progetto ha preso una piega inaspettata.
«In particolar modo, pronunciato in modo molto evidente, il rombo di un trattore l’ho finalizzato a creare questa dimensione un po’ ludica, un po’ gioviale, un po’ conviviale, un po’ festosa, quasi di baccanale. Un pezzo scandito con la cassa dritta,» racconta. «Laddove la cassa viene estratta dal rumore dei grappoli che cadono, il trattore è la linea di basso e il rumore del mosto dalla pressa che creava delle sorta di intervalli armonici, quasi degli accordi liquidi. Una sorta di naufragio nelle ondate di mosto, che rappresentano uno special, direi, di questo brano».
Quel brano, inizialmente non previsto, nasce durante un improvvisato DJ set all’interno della cantina, in chiusura alla sonorizzazione. «Non era scontato che la gente si mettesse a ballare,» racconta. «Però si è creata questa cosa molto fisica, in un luogo incredibile, complice chiaramente anche qualche bicchiere. A quel punto Chiara Bersi mi ha detto: perché non fai un pezzo che faccia ballare con i suoni del vino?».

Il risultato è un pezzo “dance” nel senso più ancestrale del termine, dove il corpo si attiva non su beat elettronici, ma su rumori concreti, rurali, manipolati fino a diventare groove. «È l’unico brano che affonda nella musica da ballo, ma si collega anche al mio disco precedente, che era molto legato al ritmo urbano,» spiega. «Il vino, in questo senso, è fruizione collettiva. È festa. È gioia».

A differenza dei precedenti lavori, Through the Grapevine non nasce con un’intenzione ecologista esplicita. «Earthphonia parlava apertamente di ecosistemi e crisi climatica. Urban Groovescapes proponeva un’immaginazione alternativa dello spazio urbano. Qui, invece, il messaggio è più sensoriale,» chiarisce. «Volevo semplicemente esplorare il mondo del vino attraverso un canale ancora inesplorato: il suono».

Il vino non suona mai uguale

Eppure, l’esperimento ha effetti profondi anche sull’autore stesso. «Dopo mesi passati ad ascoltarlo, registrarlo, smontarlo e rimontarlo, è impossibile bere vino senza pensare a tutto ciò che ho sentito», ammette. «Sicuramente il mio approccio è cambiato, soprattutto verso il vino rifermentato, le bolle. Ma io ci sono rimasto a mollo per tantissimo tempo, quindi non so se questa cosa farà lo stesso effetto a chi l’ascolta. Sarà interessante vedere che effetto farà sugli altri». Nel frattempo, Casacci ha seguito anche un corso intensivo di degustazione e abbinamento. «Prima ero distratto, bevevo quello che mi piaceva. Ora capisco quanto l’intonazione giusta tra vino e cibo possa trasformare l’esperienza.»

Il rombo di un trattore che diventa linea di basso, “stappi” di bottiglie usati come percussioni, cisterne di vino che mutano in tamburi taglienti, il suono euforico delle bollicine che si liberano nel bicchiere e quello ovattato dei grappoli d’uva che cadono al suolo: ogni elemento ha trovato posto nella partitura. Ma è solo nell’incontro con l’ascoltatore che la musica prende davvero forma. Proprio l’esperienza è la chiave di tutto: dai balli nei boschi con i suoni di Earthphonia ai tram attraversati con Urban Groovescapes in cuffia. «Il bello di questi esperimenti è che si fanno insieme. La musica non appartiene a chi la fa» dice. «Appartiene a chi ne fruisce». Ed è proprio in questo ascolto condiviso condiviso, libero e imprevedibile, che la musica di Casacci continua a trasformarsi. Come il vino, prende forma solo nel momento in cui viene aperta.

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