Il Vermouth di Torino. La storia
Del vermouth, a Torino, se ne raccontano moltissime. Il vino aromatizzato – che non è un liquore, né un amaro – affonda le radici in casa Savoia, dove il primo documento ufficiale ne riconduce i natali reali al 1778. Poi nell’Ottocento si confermerà bevanda preferita del re, e proprio la Casa Reale darà impulso alla prima produzione “industriale” della bevanda, in quel di Pollenzo. Ma la storia del vermouth di Torino incrocia pure le vicende di altrettanti padri nobili. Come Antonio Benedetto Carpano, legato alla più celebre leggenda sulla paternità del vino aromatizzato, quado alla metà dell’Ottocento, con il vermouth già molto diffuso e apprezzato in città, si era in cerca di un nome a cui attribuire il merito di cotanta invenzione. Oggi lo studio dei documenti sembra condurre verso una paternità condivisa, frutto di una sfida comune che nei primi decenni dell’Ottocento mette alla prova i liquoristi torinesi con la codificazione della ricetta di casa Savoia, per normalizzarla e diffonderla sul mercato. Dando così il là al successo del vino perfetto per l’aperitivo, che dunque sarebbe intrinsecamente torinese, sin dalla sua genesi collettiva.
Vermouth di Torino. L’Igp
Per tutelarne la storia e la ricetta antica, nel 2017 nasceva dall’unione di 18 produttori storici l’Istituto del vermouth di Torino, con contestuale definizione di un disciplinare approvato allora con decreto del Ministero dell’Agricoltura (DM 1826, 22 marzo 2017). L’ufficializzazione dell’iter di tutela e valorizzazione da parte dell’Unione Europea, però, è arrivata solo nelle ultime ore, in concomitanza con la giornata torinese intitolata al festival del vermouth di Torino, andato in scena lo scorso 16 novembre presso la sede Ais di via Modena. Obiettivo: raccontare la genesi e l’evoluzione del prodotto, le sue vicissitudini e il momento di grande rilancio che il vermouth sta vivendo negli ultimi anni, apprezzato nel mondo e finalmente collegato in modo esplicito a chi lo produce nel rispetto del disciplinare, con conseguente affermazione di quei marchi che rappresentano il segmento premium del comparto.
Il Vermouth è di Torino. Lo dice l’UE
Dunque oggi si festeggia la conclusione positiva di un iter durato oltre due anni (una ventina tornando indietro all’inizio dei lavori): Bruxelles ha riconosciuto la paternità alla città, confermando che il vermouth di Torino è di Torino. Non un dettaglio scontato, come evidenzia la soddisfazione con cui Roberto Bava, presidente dell’Istituto, ha accolto la notizia: “Ci abbiamo lavorato tanto, ora aspettiamo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”. Di fatto, la decisione europea ratifica l’Igp che da un paio d’anni regola la produzione di Vermouth di Torino (ma si può scrivere anche vermut o vermuth, il termine si rifà al tedesco wermut, cioè assenzio), realizzato con vino italiano almeno al 50% piemontese (storicamente Moscato, oggi poco utilizzato), distillato con erba Artemisia, obbligatoriamente di provenienza locale. Si aggiungono poi altre erbe e spezie, dalla china al rabarbaro, dalla genziana al sambuco, all’arancia, in base al prodotto che si vuole ottenere, vermouth bianco o rosso (l’unico colorante ammesso è il caramello), dolce o secco. Per quanto riguarda la gradazione alcolica, che il Regio Decreto del 1933 fissava al 15,5%, oggi la legge prevede la possibilità di spingersi fino al 16-17% in presenza di bottiglie “superiori”, adatte all’invecchiamento.
In questa storia di riconoscimenti progressivi, la primavera scorsa l’appuntamento al Vinitaly battezzava la nascita del Consorzio di tutela del Vermouth di Torino, per valorizzare e tutelare l’intera filiera, riunendo coltivatori e trasformatori di erbe officinali piemontesi, elaboratori e imbottigliatori, aziende proprietarie di marchi commerciali che gestiscono autonomamente la filiera.