“Ciao, sono Lucio Pompili, faccio il cuoco e contadino in quel di Cartoceto, in provincia di Pesaro.
Mi faccio portavoce dei ristoratori marchigiani #Ristoritalia che vogliono scendere in piazza, in mutande e giustamente distanziati, perché la situazione è oramai insostenibile, soprattutto dopo due mesi di restrizioni e clausura forzata, tra le promesse fatte di liquidità, cassa integrazione e quanto altro non mantenuto dal Governo. Intanto intentiamo uno sciopero fiscale perché non possiamo pagare dato che le nostre attività sono chiuse forzatamente. E lasceremo chiusi i nostri locali anche all'ipotetica riapertura perché, se le condizioni rimangono quelle attuali, si tratterà di una libera uscita ad alto contagio. Non solo, non siamo disposti a considerare i nostri ristoranti come pronto soccorsi con ingressi contingentanti, noi non serviamo solo cibo, vendiamo emozioni ed esperienze gastronomiche. Siamo stanchi di uno Stato che ci spinge ancora ad indebitarci nonostante tutte le tasse pagate ogni anno, stiamo iniziando a non avere più speranza per il futuro e l'ultima spiaggia della nostra protesta sarà lo sciopero della fame: se non potremo fare da mangiare per gli altri, non lo faremo nemmeno per noi. Le bombe della guerra, a nostro avviso, sarebbero state meglio, almeno avrebbero suonato le sirene e noi ci saremmo nascosti. Questo virus, invece, ti scova ovunque tu sia e ti uccide”. Questa è la lettera inviata dal navigato chef marchigiano Lucio Pompili, che abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare meglio l'iniziativa portata avanti con gli altri cuochi delle Marche.
Perché non si stanno facendo i tamponi?
“Non solo scenderemo in piazza in mutande, ma ci andremo col mattarello!”. Comincia così la nostra chiacchierata con Lucio Pompili, che in questi giorni si sta facendo portavoce di un movimento che ipotizziamo si diffonderà anche fuori regione. “Non possiamo continuare a vivere in questa incertezza. Ma voi lo sapete il danno economico e psicologico che fa un Ricciardi di turno quando dice che le Marche riapriranno il 28 di giugno? Il loro compito (si riferisce al Governo centrale e a ricaduta ai vari esponenti regionali e provinciali, ndr) è quello di tutelarci non di bloccare un Paese. Come? Attraverso azioni tampone e le analisi degli anticorpi. In Italia ci sono 250mila laboratori di analisi, ci sono i materiali per fare i tamponi con un riscontro del 97% di sicurezza ma questi (i laboratori) stanno aspettando l'ok degli assessori alla sanità regionale, almeno qui nelle Marche. Tant'è che molti laboratori hanno cominciato a farli privatamente e alcune aziende hanno speso i loro soldi per eseguire questi benedetti tamponi ai dipendenti, per poter riaprire”.
Il Decreto liquidità non funziona
Effettivamente la faccenda dei tamponi non è mai stata molto chiara. Così come non è chiaro quanto il tanto proclamato Decreto Liquidità sia effettivamente una soluzione, per lo chef marchigiano ad esempio non lo è affatto: “Ci hanno dato un accesso al credito che fondamentalmente significa un ulteriore indebitamento, non è assolutamente vero che lo Stato fa da garante, considerate che su 400 ristoratori di Pesaro e provincia solo in 3 si sono visti erogare i famosi 25mila euro. Le misure che il Governo ha preso sono ridicole e sembrano più che altro misure salva banche”. Pompili è un fiume in piena di critiche al Governo, e sinceramente il suo stato d'animo è comprensibile.
Lo sciopero fiscale e la discesa in piazza in mutande il 28 aprile
“Questo virus ammazzerà tutti, prima gli anziani, poi le aziende, le partite iva, coloro che non riusciranno ad affrontare una crisi simile. Ecco perché con i colleghi vogliamo intentare lo sciopero fiscale: se rivogliono i nostri soldi devono metterci nelle condizioni di poter lavorare”. E per far sentire la loro voce e chiedere chiarimenti su come verrà effettivamente gestita la Fase 2, i ristoratori marchigiani (attualmente hanno sottoscritto la lettera in 1200) scenderanno nelle varie piazze “in mutande” il 28 aprile, in concomitanza con i colleghi che invece hanno aderito al flashmob delle saracinesche alzate per un giorno. “Noi ristoratori siamo tutti sulla stessa barca, ben vengano iniziative del genere. Dobbiamo farci sentire perché nei tavoli di trattativa devono andarci esperti veri che diano risposte vere. Ho bisogno di riacquistare fiducia nelle istituzioni”.
La cucina come atto agricolo
Prima di lasciarci gli domandiamo che ne sarà, secondo lui, del mestiere di cuoco e della ristorazione in senso ampio. “Sicuramente sarà sempre più centrale il tema delle campagne, delle comunità montane, dei borghi. In Italia abbiamo una biodiversità incredibile che rischia di scomparire, noi cuochi dobbiamo fare un atto di resistenza. La cucina deve diventare sempre più un atto agricolo”.
a cura di Annalisa Zordan