“L’alcol non è l’unica via per la socialità": Intervista a Luca Argentero che ha inventato una soda

25 Nov 2024, 13:43 | a cura di
Da attore a personaggio televisivo, da agricoltore a ristoratore. Ora Luca Argentero si lancia anche nel mondo del beverage con la sua soda al "sapore di amore"

Attore navigato, agricoltore provetto, benefattore (con 1 Caffè Onlus) e ristoratore appassionato. Luca Argentero non ha solo a che fare con il piccolo e grande schermo, ma i suoi interessi vanno verso l'enogastronomia più di quanto si possa pensare. Da poco ha trovato la formula dell'amore che ha messo in una bottiglietta trasparente e che ora viaggia nei bar e sulle tavole degli aperitivi fra una nocciolina e una tapas. Stiamo parlano di Sodamore, la sparkling soda lanciata da pochissimo che promette di soddisfare i gusti della Gen Z e di chi vuole prendersi cura di sè.

Com’è nata e perché l’idea di Sodamore?

La cercavo per me e non la trovavo, era un periodo in cui per motivi vari avevo voglia di una bibita analcolica gasata e ho visto che quello che c’era in giro non mi si confaceva, ho iniziato a ragionare e ho notato che fare qualcosa che sia davvero buono è difficile.

Qual era il suo obiettivo?

La mia prerogativa era fare qualcosa che non fosse solo buona ma che mi facesse bene. In commercio ci sono bevande che contengono molti zuccheri e consumarne troppi fa male, come nocivo può essere consumare alcuni dolcificanti. Arrivare al concetto di Sodamore è stato difficile perché non è un healty drink e non riuscivo ad unire i puntini.

E a quel punto cosa ha fatto?

È iniziato un grande lavoro di ricettazione, operazione complessa che avevo sottovalutato, che ci ha portato a quello che oggi è in quella bottiglietta trasparente.

Cosa contiene Sodamore?

Sambuco, camomilla, mirtillo, uva e rabarbaro.

C’è chi nelle bevande introduce sostanze energizzanti e stimolanti, lei invece ha scelto di metterci elementi calmanti, come la camomilla, o “curativi” come sambuco o mirtillo.

Una scelta che si collega al concetto di amare e prendersi cura di sé stessi, che è stato il nostro punto di partenza. L’amore ti fa stare bene, corpo e spirito. L’unione di queste due cose è una cosa ambiziosa: quello che vogliamo seguire è l’idea che, attraverso Sodamore, si provi piacere fisico -  quando mangi o bevi qualcosa di buono hai piacere fisco -  ma anche che in qualche modo attraverso la soda si faccia una riflessione sull’amore. Sembra scontato ma è fondamentale.

È così difficile da definire, eppure l’amore ha un colore?

Sì. Il colore universale dell’amore è tendente al rosso, e da lì siamo arrivati ai frutti rossi, al mirtillo.

E al sapore dell’amore come ci siete arrivati?

Come l’amore ha tante sfaccettature e non uguali per tutti, così abbiamo unito vari sentori.  Il palato delle persone adesso è sofisticato e la dolcezza non basta mai, tutto deve essere bilanciato a qualcosa di amaro, quindi l’introduzione del sambuco e poi, caratteristica fondamentale che non riuscivo a trovare nelle bevande dopo averle bevute, l’assenza del senso di sete. Quando bevi una di queste sode in commercio, forse per colpa degli zuccheri, hai più sete di prima; perciò, abbiamo introdotto il rabarbaro che è in grado di asciugare la bocca.

Parlava di troppi zuccheri nelle bevande in commercio. In uno studio recente di Harvard è emerso che la soda è uno dei cibi ultraprocessati più pericolosi. Come commenta questa notizia alla luce del lancio di Sodamore?

Dovrei leggere lo studio, ma penso che la “tossicità” derivi dall’elevata quantità di zuccheri che si trova dentro, e con Sodamore la mia prima preoccupazione è stata proprio questa: all’interno ci sono solo zuccheri naturali che derivano dall’uva e contiene circa 30 kcal.

Che rapporto ha con i cibi ultraprocessati? Ne consuma?

È molto difficile che io compri un prodotto confezionato, è proprio raro. Ho l’orto e sono nell’altra sponda.

E il fatto di introdurre una bevanda no alcol sul mercato che soddisfa le nuove esigenze della Gen Z, come si collega a Sodamore?

L’alcol non è l’unica strada per far godere della socialità, ci sono analcolici sani. Spesso passa l’idea che un aperitivo analcolico sia un po’ meno fico, meno sexy, tutto un po’ meno, invece non è così.

E com’è?

Non è una battaglia contro l’alcol, anche io amo bere un bicchiere di vino buono, ma è la consapevolezza che, se esci tutte le sere e non puoi bere alcolici o vino tutte le volte e hai voglia di un analcolico per stare in compagnia, questo ti dia lo stesso piacere.

Il vino fa o non fa male?

Il segreto è nella misura. Anche se mangi 10 kg di pasta al giorno fa male, ma non sono un medico e magari a una persona può fare male e un’altra no.

Lei che tipo di bevitore di vino è?

 A me fa piacere bere ogni tanto un bicchiere di vino, posso aprire una bottiglia a cena con mia moglie a casa o lo ordino al ristorante insieme a un buon piatto.

In questa iperconnessione in cui siamo immersi, anche i social contribuiscono a far passare l’idea che per vivere e morire sani, bisogna non mangiare carne rossa e non bere alcol. Lei che ne pensa?

Che non esiste una regola universale, bisogna imparare a conoscersi, vedere cosa fa bene: conosco, per dire, persone che mangiano carne a colazione, pranzo e cena e stanno bene, o vegani che non la mangiano per niente e stanno benissimo. E comunque, ci sono i medici che lo devono dire. Il punto sta nella misura e nella qualità: credo sia difficile trovare qualcosa che faccia molto male se è misurato e di qualità. Se abbassi la qualità perdi il controllo.

A proposito di qualità, qualche giorno fa ha pubblicato nelle sue stories un post che recitava: “Pagate un cocktail 12 euro e poi un litro di olio allo stesso prezzo vi sembra troppo”. Vuole approfondire il concetto?

L’olio artigianale ha dei pregi imbattibili ed è un prodotto che deve essere venduto a un prezzo ragionevole. Non essendoci delle politiche comuni di comunicazione bisogna far passare il messaggio attraverso quello che puoi fare tu, io per esempio, produco olio e regalo la bottiglia di olio per conoscere cos’è la qualità.

 Diceva che ha un orto. Come ci si dedica?

Non è un lavoro a tempo pieno se non sei agricoltore, se hai qualche ortaggio non devi stare troppo dietro. È un orto semplice da gestire: acqua e sole e poi raccogli, ogni tanto pulisci.

E cosa coltiva?

Verdure basiche: peperoni, pomodori, zucchine, fagiolini, insalate, cavoli, un po’ di tutto.

E qual è l’ortaggio più versatile in cucina?

Più che uno, è un tris: peperoni, zucchine e pomodori insieme, ottieni delle combinazioni davvero efficaci.

E a casa, poi, le cucina?

Sì, certo. Mi piace tantissimo cucinare e insisto proprio sulle verdure: le cucino in tanti modi diversi. Per me una caponata di verdure vale quanto un primo di cucinato bene.

E quando non cucina a casa, va per ristoranti?

Sì, mi piace molto ed è il motivo per cui ne ho aperto uno, Il Marchese, in cui facciamo cucina romana contemporanea: quando si riesce a combinare l’innovazione con la saggezza, la cultura e l’esperienza della tradizione con il tocco innovativo è la cosa che più mi piace.

Non tutti, però, sono d’accordo sull’ammodernamento di alcune ricette storiche della cucina romana, come la carbonara. Al suo ristorante ha innovato anche questo piatto?

No, la carbonara e amatriciana al Marchese sono tradizione, non sono nella parte del menu dove si innova.

E quali piatti romani avete innovato?

Saltimbocca immaginato con un filetto e prosciutto crudo tagliato al coltello; anche la coda è rivisitata.

Qual è il piatto della tradizione romana che preferisce?

Mi piacciono tantissimo i carciofi, sia alla romana che alla giudia, ho una passione per il carciofo e la cucina romana e quella che lo utilizza meglio.

La pizza le piace?

Non sono un appassionato di pizza, ma la preferisco bassa.

Caffè?

Corto, amaro, nero.

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