Le mie confessioni da food blogger iniziano da qui, quando il proprietario del ristorante lancia urlando la pizza mortadella e pistacchio in faccia a Francesco, fracicandolo. Schizzi di salsa di pomodoro volano al rallentatore per la veranda e io non lo so come siamo arrivati a questo punto. La prima cosa che ci ha fregato, di sicuro, è il bisogno di fare soldi. Quando cresci povero ti senti povero anche dopo che non lo sei più. È per questo che ora nella veranda fette di mortadellaccia brutta, garantite affettate a mano ma sformate nel mezzo dalla confezione di plastica del supermercato dove stavano fino a cinque minuti fa, volano in testa a due turisti americani.
Diario di un food blogger: l'adolescenza a Tor Lupara
Mannaggia, penso, e intanto mi ricordo Tor Lupara. Che è cittadina, poco fuori il Raccordo, e non ce la passavamo bene lì: con mia madre traslocammo più volte dentro e fuori Roma e già alle medie stavamo meglio, ma a diciott'anni scappai di casa. In famiglia abbiamo questa immensa, gigantesca passione per le storie e per il cibo. Avevo passato tutta l’infanzia a leggere romanzi e ricette: mi misi a fare il cameriere e il giornalista. E non guadagnavo niente, da nessun lavoro, finché Francesco un giorno disse: "Ma facciamo i video per YouTube".
Così adesso Francesco ha la maglia piena di salsa e di pistacchio e il pizzaiolo gli sta andando addosso urlandogli in faccia. Per fortuna Fra’ è alto due metri e il pizzaiolo prima prova a mettersi in punta di piedi e poi torna nel locale sbuffando. Mi urla: «Io lo so chi sei tu!!»
"Almeno questo"
Io sono un food blogger. Che è una parola orribile che vuol dire tutto e niente. Quando decidemmo di fare video eravamo in tre e volevamo fare video perché ci piaceva scoprire il mondo e raccontarlo, non sapevamo cosa stavamo creando e come. Due anni dopo e siamo in otto, ognuno con un ruolo e una SRL da portare avanti: ci è andata bene e a me va bene così. Francesco dice sempre: «Almeno questo». In effetti abbiamo fallito davvero decine di lavori diversi, però in questo andiamo bene, “almeno questo". Passeggiamo un po' per piazza Barberini, le cuffie della camera che si sono fracassate durante il litigio di prima, neanche ce la prendiamo troppo. Lui è ancora tutto sporco. Mi ricordo i primi tempi: abbiamo iniziato facendo video sui locali che ci piacevano; su quelli famosi, per scoprire se ne valeva la pena; su quelli turistici, per scoprire cosa rifiliamo a chi viene a visitare questo nostro Paese sbilenco.
Ci piaceva e ci piace ancora scoprire, provare ogni cosa: in una settimana giriamo un video su una mensa carceraria, uno su un locale che cucina solo con pistacchio, uno sui mercati popolari di Palermo. E c’è a chi non interessano i temi sociali, a chi non interessa il mondo del fast food, a chi non interessano le tradizioni popolari: a noi interessa tutto e io non ci credevo potesse andare bene un progetto così. E invece, funzionò: YouTube, in base a quante persone vedono le interruzioni pubblicitarie su un tuo video, ti paga. Ma non solo: l'app per prenotare i treni ti chiama per una sponsorizzata, la casa di produzione di un film biografico su un cuoco famoso cerca qualcuno per fare promozione.
"Con YouTube avevamo trovato un lavoro"
Sì, avevamo trovato un lavoro. La prima cosa che decidemmo fu aprire la partita IVA, niente lavoro in nero. Per un food blogger, soprattutto agli inizi – quando hai vent’anni e qualsiasi cosa guadagni ti salva la vita – il ristoratore che ti passa sottobanco cinquanta euro o ti offre il pranzo è oro. Il mondo oggi va a fuoco: se scopri un modo per guadagnare qualcosa esentasse diventi l’eroe del tuo palazzo, quello che ce l’ha fatta.
Ma cosa avremmo costruito così? Questa volta sembrava davvero potessimo mettere su qualcosa di sano e viverci: organizzammo un listino prezzi, IVA inclusa, con cui rapportarci con le aziende e i ristoranti. E a quel punto imparammo che i ristoranti un video nostro non lo volevano davvero: quello che volevano era propaganda, che è un'altra cosa.
Ad alcuni non stavano bene i prezzi, ad altri non stava bene pagare con fattura, ma quei pochi che arrivavano a dirci di sì, ecco che storcevano il naso davanti ad una frase che inserivamo in ogni nostro contratto: "Al talent viene garantita la possibilità di esprimersi liberamente sui prodotti consumati". In più, come clausola, dopo tre volte che il video era visionato dal cliente senza essere approvato, avevamo la possibilità di far saltare il lavoro. E ne saltarono un sacco: in tre anni non uscì nessuna pubblicità per un singolo locale.
"Nessuno ti pagherà per dire la verità"
Se c’è qualcuno che apre un locale interessante e ci invita, ci andiamo volentieri, basta dirlo nel video e insistere per pagare, ma a quel punto nel video puoi dire quello che vuoi. Ma nessuno, nessuno, ti pagherà per dire la verità: basta saperlo e organizzarti di conseguenza. Se sei convinto di quello che fai ti possono dire qualsiasi cosa ma il sorriso ti resta lo stesso: ci ho messo un po’ ma alla fine la quadra l’ho trovata e in ufficio ora c’è Flavia che vaglia i potenziali clienti prima di accettare chi valutiamo essere in linea con il nostro lavoro.
La lezione successiva che abbiamo dovuto imparare è la preparazione. Alcune cose non puoi prevederle, come quella che viviamo adesso che ci stiamo lavando alla Fontanella delle Api e Francesco ha una fetta di mortadella infilata sotto la maglia. Però, preparazione: gestire le riprese, studiare le culture gastronomiche che si vanno a provare in giro per il mondo, fare corsi, masterclass, organizzare gli itinerari di ogni viaggio, sentire i clienti, scrivere i testi per i video più seri, montare le clip di ogni contenuto. E visto che Ulisse ci ha insegnato bene, ora facciamo anche documentari, su tutto quello che ci incuriosisce intorno al mondo: permessi legali, commerciali, gestione dell’attrezzatura e dei costi, personale… Per questo ora siamo otto in ufficio. Stanchi e sorridenti, dormiamo tutti poco. Ed è difficile, stando sempre fuori casa e uscendo poco, mettere su famiglia o divertirsi con gli amici. Ma se ci ricordiamo di “prima”, sì, sorridiamo parecchio.
Le gioie e dolori di un food blogger
Ci provano i social a buttarti giù. È splendido quando la gente ti ferma per strada e ti dice “grazie per tutti i sorrisi!” o “anvedi le tecniche di fermentazione dei pescatori islandesi”. La cosa più bella.
Il contraltare sono le minacce di morte perché hai dato un voto troppo alto qua, troppo basso là, o perché ti sei messo la maglia della Roma in un video. Magari stai lavorando e ti arriva la mail di un giornalista mitomane fermo a trent’anni fa per cui gli influencer sono tutti rabattini oziosi, che devono bruciare. Anni fa rispondevo male, ma sarà grazie all’influenza di Flavia che è la più matura del gruppo che ora la prendo con filosofia. Siamo otto miliardi di frustrati e stressati in questo mondo che abbiamo messo su senza volerlo, bisogna capirci. Guarda adesso per adesso: avevo detto che la pizza non mi era piaciuta, ma tu vaglielo a spiegare alla maglia di Francesco, più rossa che bianca.
Il privilegio
Neanche io lo avevo capito all’inizio che con questo lavoro siamo dei privilegiati nonostante tutto. Non nel senso che siamo dei nullafacenti benedetti dallo spirito santo, che comunque beati loro: ogni giorno bisogna studiare, pensare alla casa di produzione dei documentari che non fa soldi, ai video per i social che invece vanno bene, alla creatività, all'organizzazione, a finire di costruire questo ufficio che per spendere poco lo stiamo facendo noi a mano (ma io non ho mai pavimentato una stanza e ora per colpa mia in estate i listoni di legno del pavimento si gonfiano e Flavia lavora con la sedia in obliquo).
Ma è comunque un privilegio vivere di questa passione, un privilegio conquistato sì, ma comunque una fortuna. Esplorare il mondo, conoscere un commis pieno di sogni, vivere la transumanza con i pastori abruzzesi, pescare con le sommozzatrici coreane. E io, quello che sorride in ogni video, ma che paradossalmente è anche il più negativo del gruppo, posso dire quanto sia bello questo lavoro.
Forse proprio perché vedendo il mondo in maniera così orribile, mi sorprendo ogni giorno delle meravigliose cose che ci circondano. E Francesco, che si è accorto adesso che abbiamo dimenticato un microfono al ristorante, ha ragione: “Almeno questo”.