Perché vietare i wet market
Il dibattito è entrato nel vivo un anno fa, come risultato dell’attenzione riservata al wet market di Wuhan, in Cina, dove il Covid-19 potrebbe aver trovato il primo terreno fertile per fare il salto dagli animali all’uomo (sicuramente un salto di specie all’interno di un mercato è avvenuto per la Sars, dai pipistrelli allo zibetto, all’uomo). Ma la discussione sull’opportunità di ripensare la gestione – e l’esistenza stessa – dei cosiddetti mercati “umidi” si reitera ormai da diversi anni, coinvolgendo istituzioni, associazioni animaliste, scienziati. Negli ultimi mesi, in tutto il mondo, si sono moltiplicate le petizioni per chiudere o regolamentare questi mercati fondati sulla promiscuità, dove ai banchi di frutta e verdura si affiancano i venditori di animali vivi, spesso stipati in spazi angusti, e macellati sul posto. La pandemia ha reso più stringenti problematiche già note e annose, come la difficoltà di garantire le più comuni norme igieniche e la crudeltà inflitta agli animali. Eppure, la diffusione dei wet market – frequentatissimi e perfettamente integrati in determinati sistemi di consumo - continua a essere capillare, nonostante i riflettori siano stati puntati, nell’ultimo anno, principalmente sulla Cina: nello stato di New York, per citare un contesto decisamente diverso, il Dipartimento dell’agricoltura ne conta almeno 80, peraltro in vicinanza di scuole, parchi, quartieri residenziali, in violazione di legge.
Il consumo di animali selvatici. La posizione dell’Oms
Soprattutto in Cina, però, la questione è strettamente connessa al diffuso consumo di animali selvatici. In piena emergenza sanitaria, come già annunciato in passato in analoghe situazioni di crisi, il Governo si era impegnato a vietarne definitivamente la vendita e il consumo, senza mai procedere sino in fondo: nel Paese il consumo degli animali selvatici vale 18 miliardi di dollari e impiega oltre 6 milioni di persone, soprattutto in zone rurali. Difficile, dunque, porre limiti troppo stringenti, nonostante ormai ben oltre il 50% della popolazione cinese si dichiari contraria alla pratica. Ma ora è l’Oms a tornare sulla questione, esortando a sospendere la vendita degli animali selvatici vivi nei mercati alimentari: “Gli animali, in particolare quelli selvatici, sono la causa di più del 70% di tutte le nuove malattie infettive trasmesse agli esseri umani, molte delle quali determinate da nuovi virus”, scrive nero su bianco l’Organizzazione Mondiale della Sanità. “I mammiferi selvatici, in particolare, rappresentano un rischio reale per la comparsa di nuove malattie", si legge ancora nel comunicato stilato con l'organizzazione mondiale per la salute animale e il programma ambientale delle Nazioni Unite.
L’indagine nei wet market di Wuhan
Per ridurre la diffusione delle zoonosi, gli esperti individuano un piano che arrivi a prevedere non necessariamente la sospensione delle vendite – che comunque è la prospettiva più auspicabile - ma il miglioramento delle condizioni igieniche nei mercati interessati e la formazione di ispettori veterinari chiamati a controllare l’applicazione delle regole e a sensibilizzare venditori e clienti ancora restii ad abbandonare la pratica. Queste figure deputate alla sorveglianza, inoltre, avrebbero le competenze per individuare sul nascere la presenza di nuovi agenti patogeni potenzialmente pericolosi per l’uomo, scongiurando la rapida diffusione dei virus, che invece in passato ha trasformato Wuhan nel pericoloso focolaio che oggi tutti conosciamo. Sebbene da tempo la comunità scientifica ritenga i wet market una minaccia per la salute pubblica, l’Oms non aveva finora preso una posizione netta sulla questione, tacciata dalle associazioni animaliste di avere un atteggiamento troppo permissivo nei confronti di certe pratiche non solo pericolose, ma anche inutilmente cruente. Lo scorso febbraio, però, la squadra internazionale di esperti dell’Oms ha avuto per la prima volta in via libera, accordato dal governo cinese, per visitare e indagare sul mercato di Wuhan. L’indagine del team, formato da professionisti con esperienza in veterinaria, virologia, sicurezza alimentare ed epidemiologia, si è protratta per sei settimane, iniziando dalla visita al mercato di Baishazhou, uno dei più grandi mercati umidi di Wuhan. E deve aver fornito all’Organizzazione anche nuovi elementi per pronunciarsi con più forza per lo stop alla vendita degli animali selvatici vivi.
a cura di Livia Montagnoli