L’Oltrepò Pavese, un viaggio enogastronomico. Terra da vino ma non solo…

21 Set 2022, 16:58 | a cura di
La sua indole è impressa nella cartografia: il territorio ha infatti la forma di un grappolo d’uva e muovendosi tra il tralcio e l’ultimo acino è una continua scoperta di cose buone e di capitale umano importante.

Oltrepò Pavese. I confini suggeriscono un grappolo d’uva

L’Oltrepò Pavese è un crocevia. Di terre, di popoli, di lingue e di tavole. Si mangiano e si bevono cose che si mischiano tra loro. Immaginate un grappolo d’uva che pende lungo tre regioni e ne lambisce una quarta: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria. Il fiume Po è la parte attaccata al tralcio, il grappolo scende lungo il Tortonese a ovest, il Piacentino a est e, andando più in giù, arriva nelle terre emiliane dove la pianura lascia il passo alle montagne. Non è una suggestione: se tracciate con una matita i confini di questo territorio vedrete spuntare una pigna d’uva. Ne scrisse anche Gianni Brera. Una forma a grappolo che, guarda caso, rimanda subito alla centralità del vino. Siamo in Lombardia, nella porzione sudoccidentale, la zona più vitata della regione, con quasi 14mila ettari di vigneto. Per chi si intende di vino il pensiero corre subito al Pinot Nero, l’uva rossa più nobile che c’è e che fa dell’Oltrepò Pavese il terzo territorio vitivinicolo al mondo per estensione di questa tipologia - i primi due sono la Borgogna e lo Champagne. In realtà, se si parla di rossi questa è terra ancora di Croatina e Barbera che sono uve assai più presenti.

Vino, ma non solo vino

Ma questo non è un articolo – solo – sul vino. Piuttosto è il racconto di un piccolo spostamento che porta tra paesaggi e persone che avvertono l’eco delle grandi città, ma che orgogliosamente la tengono lontana. Il punto di partenza è Milano, ma potrebbe essere Torino, come Genova. O qualsiasi altro posto geograficamente vicino, ma emotivamente lontano. Oggi lo chiamano “turismo di prossimità”: è l’esigenza di trovare spazi e tempi a ridosso del quotidiano, ma che diano il senso del distacco. Territori quasi salvifici utili a ricaricare le batterie e l’Oltrepò Pavese appare un ottimo candidato con il verde dei vigneti e dei coltivi interrotto da costoni di argille o calcare, le sarmase come le chiamano da queste parti. Sugli speroni più alti ci sono i castelli – tantissimi da queste parti – che sono la rappresentazione più chiara del passato medievale del territorio.

Storie di mulini e di grani: da Voghera si parte dalla farina

Parlavamo delle partenze. E il punto di arrivo qual è? Molti potrebbero pensare a Pavia per il richiamo che c’è nel nome stesso del territorio; invece, è Voghera il centro più importante dell’OP, una sorta di porta di ingresso che ha alle spalle il Piemonte, davvero distante pochi chilometri, e che, senza soluzione di continuità, guida verso altri centri come Casteggio, Broni e Stradella, lungo quasi una linea retta che porta all’Emilia. A Voghera facciamo i primi incontri. Alberto Bertuzzi Bergognoni è l’Amministratore delegato dei Molini di Voghera, ovvero l’azienda che si occupa dei grani dell’Oltrepò Pavese che si chiamano Bologna, Blasco, Taylor, Aubusson, Bolero. L’impianto molitorio ha nel molino a quattro ruote la sua peculiarità e il suo atto di nascita risale al 1610, quando Filippo III di Spagna concesse la licenza di macinazione al Molino delle Quattro ruote. Poi un salto fino agli anni ’50 del secolo scorso, quando si costituisce una nuova società con ragione sociale Molini di Voghera spa. Qui entra in gioco la famiglia di Alberto: “Sono le acque del torrente Staffora (da cui il nome dell’omonima Valle, ndr) a portare avanti la produzione, con le deviazioni create nei secoli dagli uomini di queste zone. È la vera linfa vitale dell’attività molitoria. Non a caso fino a venti anni fa i molini erano quaranta, oggi siamo rimasti in due. La nostra Farina Oltrepò è il fiore all’occhiello della produzione ed è anche l’unica filiera certificata in Italia per quanto riguarda le farine. Nel nostro caso ha senso parlare di km zero perché il conferimento è diretto, la filiera è corta e lo stoccaggio è sicuro”.

Terre di acque: il lato liquido dell’Oltrepò

Scriveva la poetessa Ada Negri: “A Salice si sogna e si guarisce”. Lei, tra gli ospiti vip del Grand Hotel delle Terme, godeva dell’esclusività di un posto che fu davvero, da fine ‘800, il ritrovo di tanta nobiltà ed esponenti dell’arte e della cultura. La privatizzazione degli stabilimenti termali negli anni ’90 dello scorso secolo ha dato il colpo di grazia a questo posto – come ad altri in Italia – sancendone la fine. Almeno fino a oggi: perché la buona notizia è che le Terme di Salice riapriranno entro Natale 2023. La nuova proprietà è quella della società Terme di Saturnia e di Chianciano che qualche anno fa aveva rilevato anche lo stabilimento di Rivanazzano, originario del 1913. Anche qui troviamo il torrente Staffora che attraversa la piccola località le cui acque sono classificate come salso-bromo-iodiche, fortemente antinfiammatorie.

 

Selvatico: una storia lunga più di un secolo

Questa era zona di mulini e di ampi appezzamenti da coltivare a frumento. Se lo ricorda ancora “la signora Piera”, Piera Spalla, voce, mani, testa, insieme alle figlie Michela e Francesca, del ristorante e locanda Selvatico. Nato nel 1912, parte della fortuna della sua cucina è legata proprio agli avventori delle terme: “Avevamo i contratti con gli stabilimenti per servire i pasti – ricorda Piera – e così ho imparato a fare zuppe e ministre per gli anziani”. Oggi sarebbe una scelta dettata anche dalla moda, ma al Selvatico in carta c’è sempre stata tanta verdura. Le sue tavole hanno ospitato anche tanti giornalisti-gastronomi, uno su tutti Gino Veronelli che proprio su queste tovaglie creò le prime schede sensoriali dei vini. Oggi le tre donne sono impegnate nella valorizzazione dei prodotti dell’Oltrepò Pavese a tutto tondo: dalla carne di razza Varzese tipica della Valle Staffora, alle erbe coltivate dalla Comunità di San Pietro che lavora sull’ortoterapia e sugli orti solidali: “Con loro – continua Piera – abbiamo in corso anche un progetto sulle api e il miele”. Qui poi si viene per i malfatti, gli agnolotti e i tajarin (Rivanazzano ricade ancora nella diocesi di Tortona, quindi Piemonte) e c’è anche l’aperitivo dedicato, l’OltreMito: cocktail “inventato” da Sergio Daglia, cognato di Piera, che altro non è che un Milano-Torino fatto con Bonarda e Campari Bitter. E questo e molto altro nel nuovo

a cura di Francesca Ciancio

QUESTO È NULLA…

Nel mensile di settembre del Gambero Rosso persone e storie diverse accumunate da un unico territorio: la storica via del Sale. Qui, l’Azienda Agricola Valle Nizza possiede una parte dei dieci ettari complessivi per la coltivazione della Pomella Genovese, la mela dolce tipica dell’Oltrepò salvata dall’estinzione da un pugno di produttori. E spostandoci di poco verso Ovest Matteo Cavanna, studente universitario, ha aperto il primo Apiario del Benessere nella zona Colli Verdi:Come studente di Psicologia sono sempre stato affascinato dal mondo complesso di questi animali e così mi sono dedicato a loro arrivando ad averne cinquanta famiglie”. Anche Chiara Onida e Aldo hanno fatto una scelta simile: il loro allevamento di Camosciate delle Alpi nel Boscasso è il migliore in Italia. L’ultimo progetto in cui sono coinvolti con il loro gregge si chiama VoCapra, una app che sta mettendo a punto l’Università degli Studi di Milano e che raccoglie le registrazioni delle vocalizzazioni di questi animali. E poi, Oltrepò tutto al femminile: A Bosmenso, una frazione varzese, il paese dove solo le donne fanno il salame, Ornella e Roberta - con Martina, figlia di Ornella - si occupano sia della cucina del ristorante e salumificio Buscone che della norcineria e producono piccole ma eccellenti quantità di salame di Varzi Dop, pancetta e coppa. E ancora, le migliori cantine sul territorio, quelle che sono state premiate con i Tre Bicchieri dal Gambero Rosso; cinque piatti in abbinamento con cinque etichette dell’Oltrepò. Ultimo ma non meno importante le tavole dove sostare almeno una volta. E questo e molto altro nel nuovo numero del Gambero Rosso.

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