«Sulla carne in vitro abbiamo fatto un errore enorme, abbiamo messo i soldi negli allevamenti intensivi, che nei prossimi anni saranno il passato e noi non avremo quella ricerca su cui magari saremmo stati i leader nel mondo». Non usa mezzi termini, e non è la prima volta, lo chef Giorgio Locatelli, nel commentare i provvedimenti risalenti allo scorso novembre con i quali la Camera aveva approvato in via definitiva il Ddl sulla carne coltivata, vietandone la produzione e la commercializzazione in Italia.
La stoccata dello chef
L'occasione dell'attacco contro il provvedimento caldeggiato dal ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è un'intervista del giudice di Masterchef a Vanity Fair, nella quale Locatelli coglie anche l'occasione per lodare la gastronomia italiana, «copiata, reinterpretata, utilizzata a tutti i livelli, presente in tante nazioni con prodotti di ogni genere». Un «bene» secondo Locatelli, che già nel corso della conferenza stampa di presentazione della tredicesima edizione del talent show culinario aveva calcato la mano sulla questione carne in vitro, affermando come «ci toccherà comprarla da altri», riferendosi al possibile via libera dell'Unione europea alla sua produzione, reiterando il concetto per il quale «con il genio italiano e l’esperienza che abbiamo, avremmo potuto produrre una qualità superiore».
L'iniziativa dell'UniTo
L'argomento carne coltivata è tornato in auge anche dopo la comunicazione dell'università di Torino, attraverso la quale è stato rivelato come «un team di ricerca di UniTo» abbia «attivato una campagna di crowdfunding per finanziare un progetto di studio che ambisce a rivoluzionare la produzione di carne in laboratorio e renderla finalmente una reale alternativa all’allevamento». Nelle casse dell'iniziativa ribattezzata CultMeat sono finora confluiti oltre 10mila euro, raccolti, come si legge ancora nel comunicato, «in pochi giorni» da 235 donatori. Altri 10mila euro verranno invece investiti dall'ateneo. A sostenere i vantaggi della carne coltivata è la ricercatrice dell'UniTo, Sveva Bottini, che spiega come essa possa rappresentare «una risposta concreta ai problemi ambientali e culturali che il nostro sistema alimentare attuale non può più ignorare». Le fa eco Lù Casini, membro del dipartimento di Biotecnologie molecolari e scienze per la salute dell’ateneo torinese: «La carne coltivata è biologicamente identica a quella che conosciamo, ma viene prodotta con un impatto ambientale estremamente ridotto rispetto a quello degli allevamenti».
L'obiettivo del progetto
L'idea alla base del progetto, spiega ancora Casini, è quella di «superare gli ostacoli tecnologici che fino ad oggi hanno reso la carne coltivata difficile da produrre su larga scala, utilizzando sulle cellule suine un sistema efficace già testato con successo su cellule umane per la medicina rigenerativa». I fondi verranno utilizzati per isolare le cellule staminali suine e per l'acquisto dei materiali necessari per convertirle in cellule muscolari e produrre il primo prototipo di carne coltivata.