Dalla giornata antispreco alla psicosi. L’assalto ai supermercati
Neanche un mese fa, in tutta Italia, si celebrava la Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare. Tracciando un bilancio su quanto di buono è stato fatto sin dall’entrata in vigore della legge Gadda, condividendo problemi e auspici sul contenimento delle cattive abitudini di consumo (e ancor prima di produzione e distribuzione). Ma l’Italia allarmata per il Coronavirus sembra aver messo da parte i buoni propositi, e la corsa isterica ad accumulare provviste di cibo che nei giorni scorsi ha letteralmente razziato gli scaffali di numerosi supermercati del Nord non fa che rendere evidente un cattivo rapporto con i consumi alimentari. Le foto dei supermercati presi d’assalto hanno fatto il giro del mondo, rimbalzando sul web e alimentando l’ironia di molti. Dopo un fine settimana da panico (Federdistribuzione ha stimato un aumento delle vendite del 50%), la Gdo si è dunque mossa per tranquillizzare gli utenti, garantendo la capacità di rifornire come di consueto i punti vendita.
L’importanza delle botteghe di vicinato
Ma il problema resta, perché l’acquisto compulsivo è la prima spia di un inevitabile spreco di cibo, soprattutto per quel che riguarda i prodotti freschi, in barba al consumo consapevole. Nel dibattito è intervenuta in modo intelligente Confesercenti Firenze (anche il capoluogo toscano è stato toccato dall’assalto agli scaffali), stigmatizzando il fenomeno – “L'accaparramento compulsivo di prodotti comporta necessariamente anche una crescita dello spreco alimentare che istituzioni e categorie economiche cercano con ogni mezzo per una serie di motivi non ultimo quello ambientale di arginare” – rassicurando i consumatori, e, soprattutto, invitandoli a orientarsi sulle botteghe di vicinato per una spesa quotidiana programmata e calcolata sul fabbisogno reale. C’è anche da rilevare che, dopo le ultime più rassicuranti (e più ponderate) dichiarazioni istituzionali, l’affluenza nei supermercati sta ritrovando la sua normalità.
Mense chiuse, il cibo dove finisce? L’esempio di Milano Ristorazione
Ma, sempre a proposito di spreco alimentare, i servizi di ristorazione collettiva costretti a fermarsi in alcune località del Nord si trovano ancora a fare i conti con il problema. Specialmente a Milano, dove le scuole saranno ferme ancora per qualche giorno (almeno), Milano Ristorazione si è ritrovata da un giorno all’altro con la necessità di gestire un numero ingente di provviste di cibo, solitamente destinate agli studenti. La società partecipata del Comune distribuisce 75mila pasti al giorno nelle mense scolastiche della città; quando l’ordinanza del Sindaco è stata resa nota, l’organizzazione si è messa in moto per ripensare una destinazione di pubblica utilità per le provviste deperibili, evitando così lo spreco di tre tonnellate di cibo. Ma come è stato possibile, in una città blindata (dove però, è notizia dell'ultima ora, i bar potranno tornare a restare aperti anche dopo le 18)? Insalata, parmigiano reggiano grattugiato, latticini e uova sono stati donati alla Fondazione Banco Alimentare Onlus e ad altre organizzazioni attive nella raccolta e distribuzione delle eccedenze alimentari, tra le quali City Angels e Refettorio Ambrosiano, grazie alla collaborazione tra le parti, chiamate anche a raddoppiare gli sforzi per garantire la normale distribuzione dei pasti. L’Associazione Pane Quotidiano, per esempio, è stata costretta a interrompere la consegna dei 3000 sacchetti giornalieri agli indigenti, per evitare assembramenti di persone. Mentre l’Opera San Francesco, che quotidianamente sfama 3500 persone nella mensa di viale Piave, ha scelto di non interrompere il servizio, consegnando però i generi di conforto fuori dalla sede, come gran parte delle mense assistenziali.
Il settore della ristorazione collettiva a rischio? Allarme in Liguria
Inutile ricordare, di nuovo a proposito delle mense scolastiche, che l’arresto forzato dei servizi di ristorazione collettiva avrà ripercussioni serie su chi lavora nel settore. Il problema è sollevato dai sindacati di categoria liguri: “Servono ammortizzatori sociali ad hoc e vogliamo capire se la chiusura delle scuole proseguirà oltre il primo di marzo; temiamo ripercussioni economiche per il personale nonché un collasso del settore, con aziende che denunciano già perdite di 50 mila euro a settimana”. Il limite sta nei termini previsti dal contratto di assunzione dei lavoratori in questione, non retribuiti in caso di chiusure straordinarie delle scuole, e dunque, in una regione come la Liguria soggetta a continue allerte meteo, già duramente colpiti. Il Coronavirus rischia di dare il colpo di grazia. Al bilancio familiare, però.