Nel calendario degli eventi enogastronomici di rilevanza internazionale, gennaio, sarebbe stato il mese di Madrid Fusion. L’ultima edizione del congresso ospitato nella capitale spagnola, un anno fa, ha fatto in tempo ad andare in scena per un pelo prima che tutto si congelasse. Nel 2021, salvo ulteriori rinvii, l’appuntamento è rimandato alla fine di maggio. Questo, per gli chef che abitualmente presenziano in qualità di relatori sul palco, non significa smettere di condurre le proprie ricerche, di solito amplificate dalla vetrina dei congressi, ma spesso frutta di sperimentazioni che si protraggono per anni, coinvolgendo un nutrito team di persone.
Ángel León e la dispensa del mare
Ángel León, abituée dei congressi gastronomici spagnoli, è un esempio lampante di come l’impegno a perseguire l’innovazione in cucina possa svilupparsi nell’arco di un’intera carriera senza penalizzare l’attività di ristorazione, e anzi, rendendola speciale. Il cuoco del mare - com’è conosciuto internazionalmente per il suo lavoro di esplorazione incessante della “dispensa” marina, celebrata come organismo complesso, munifico e per questo da tutelare – è il titolare del ristorante Aponiente, al Puerto de Santa Maria (Cadice). Anno dopo anno, sorprende la platea di Madrid Fusion con “scoperte” incredibili: nel 2019 è stata la volta dello zucchero di mare, tratto da una pianta alofila delle paludi; un anno fa, invece, presentava il suo miele marino, estratto dalla ruppia marittima.
Ma a più riprese ci siamo occupati delle sue sperimentazioni di avanguardia gastronomica, dallo studio sul plancton alla cottura del sale (Gambero Rosso, maggio 2019) alla linea di salumi di mare, sotto il marchio la Dehesa del Mar, pensata anche per la grande distribuzione. L’ultima scoperta, invece, è una sorta di riso marino, probabilmente più simile alla quinoa o all’amaranto (che non sono cereali, ma vegetali) per proprietà organolettiche e nutritive. In mancanza di un palco da calcare, il cuoco spagnolo ha “presentato” termini e obiettivi della ricerca in una lunga (e bella) intervista raccolta dal Time, a firma di Matt Goulding (approfondimenti ulteriori sul sito dedicato al cereale marino). Non c’è voluto molto per destare l’attenzione degli addetti ai lavori, e non solo, considerando la portata della sperimentazione, che potrebbe avere positive ripercussioni economiche, ambientali e nutrizionali.
Cos’è il riso di mare
L’indagine si concentra sulla Zostera Marina, pianta acquatica della famiglia delle fanerogame marine (dotate, come le piante di terra, di radici, rizomi, foglie, fiori, semi) che cresce lungo le coste un po’ in tutto il mondo (anche se inquinamento e cambiamento climatico ne stanno determinando una forte riduzione) e visivamente ricorda le piantine di riso allineate in una risaia. Ampiamente documentata dai testi di biologia, nessuno finora aveva pensato che potesse essere commestibile. O quasi. L’interesse di Leon, infatti, ha avuto origine da un testo del 1973, incentrato sulla dieta dei Seri, popolazione messicana abituata a raccogliere e consumare la Zostera dopo un processo di trebbiatura, tostatura, polverizzazione e cottura del “cereale” che produce. Così, in collaborazione con l’Università di Cadice, è partita la sperimentazione mirata a coltivare, per la prima volta, la pianta marina. Un processo che ha comportato un lungo lavoro di stabilizzazione delle condizioni ideali per far riprodurre e controllare la crescita delle piantine, che nelle acque salate di un estuario a breve distanza da Aponiente, nel Parco Naturale della Baia di Cadice, sembrano aver trovato l’habitat ideale.
La coltivazione a Cadice
Il primo raccolto, due anni fa, ha fornito il materiale sufficiente per la seconda fase dell’esperimento, volto a indagare le qualità nutrizionali e il gusto del misterioso riso marino. Risultato? Oltre a essere ricco di fibre, vitamina A ed E e Omega 3 (caratteristiche che ne fanno un superfood), il cereale privo di glutine prodotto dalla Zostera Marina è buono: i chicchi, dal gusto iodato, sono allungati, simili a quelli del riso, e bollirli in acqua non ne altera la croccantezza. Se ne può ricavare anche farina. Ora l’obiettivo è quello di ampliare la coltivazione nella baia di Cadice, trapiantando nell’area esemplari raccolti altrove, lungo le coste. Poi, con la maggior parte dei semi raccolti Leon e il suo team sperano di fare di Cadice entro il 2022-23 il polo di riferimento per la coltura della Zostera Marina. Parte del raccolto, invece, servirà per proseguire con i test di laboratorio al ristorante.
Dunque le potenzialità di questa scoperta sono molteplici: offrire una nuova opportunità di sviluppo economico e occupazionale a un’area con il più alto tasso di disoccupazione in Spagna; tutelare la biodiversità marina, dal momento che i “campi” di Zostera sono habitat frequentato da una ricca fauna oltre a proteggere le coste dal fenomeno di erosione; produrre su larga scala un alimento dall’alto valore nutritivo, che potrebbe diffondersi rapidamente nelle acque costiere di tutto il mondo, una volta perfezionato il metodo di coltivazione, che non ha bisogno di ricorrere a chimica e pesticidi. Presto, intanto, la visita ai campi di Zostera potrebbe trasformarsi in valore aggiunto per gli ospiti di Aponiente.
a cura di Livia Montagnoli