Se c’è un cocktail che è stato “divisivo” nell’ultimo ventennio, questo è senza dubbio lo Spritz. Tanto gli addetti ai lavori quanto i clienti paiono non dover mai trovare pace quando si parla di questo drink: qual è la sua origine? Con quale liquore va preparato? Qual è il suo giusto prezzo di vendita? Se ponete questa domanda a diverse persone, avrete diverse risposte. Eppure, su una cosa tutti innegabilmente si troveranno d’accordo: lo Spritz è il più grande successo dell’aperitivo italiano da almeno 100 anni a questa parte, ovvero da quando è nato il Negroni. E se a quest’ultimo è servito quasi un secolo per riabilitarsi da cocktail da discoteca a protagonista dei migliori locali del mondo, per il suo cugino veneto l’iter di beatificazione potrebbe essere decisamente più breve, sempre che (e purtroppo è proprio quello che sta succedendo) la volontà di inseguire il profitto a tutti i costi non ci porti a snaturarlo.
La storia italianissima dello Spritz
Partiamo dalle origini, e dalle informazioni che ormai possiamo dare per certe: questo cocktail nasce in Veneto e trova la propria etimologia nel termine “Spritz” derivato dal tedesco “spritzen” che significa “spruzzare”. Questa origine risale all’occupazione austriaca del Veneto nel XIX secolo, quando gli ufficiali austriaci trovavano il vino locale troppo forte e lo diluivano con acqua frizzante o soda. Questa pratica di diluire il vino con acqua frizzante è considerata l’antenata dello Spritz moderno. Il cocktail come lo conosciamo oggi, però, iniziò a prendere forma solo nel XX secolo quando al mix di vino e soda si cominciò ad aggiungere un liquore amaricante. Ma la domanda che pare tormentare i veneti (in fondo siamo sempre il Paese dei campanili) tanto quanto i grandi gruppi mondiali di alcolici è: qual è il vero liquore da aggiungere al vino per preparare lo Spritz? La verità è che una risposta non c’è. Il vero Spritz veneziano è tradizionalmente preparato con Select, un bitter amaro tipico di Venezia. Al contempo, Aperol è sicuramente il vero artefice del successo di questo drink a livello mondiale e fuori dalla Laguna quasi tutti i clienti lo hanno scoperto e lo apprezzano nella versione colore arancione. Come se non bastasse, da tempo immemore si prepara anche con un altro liquore veneto, il Cynar, a base di carciofo (brand oggi parte del portafoglio prodotti del Gruppo Campari) che quest’anno è addirittura sponsor sulla maglia del neo promosso Venezia Calcio in Seria A, con la scritta sul petto “Cynar Spritz”. Come tutti sappiamo, poi, è di uso comune prepararlo anche con il Campari. Insomma, una verità univoca non c’è, ma tutti paiono molto attivi nel promuoversi.
Le nuove versioni dello Spritz e i "craft spirits"
Com’è successo in quasi ogni settore merceologico del mondo Spirits nell’ultimo ventennio, dal Gin al Vermouth, ai brand storici e di fama come quelli sopracitati si sono cominciate ad affiancare nuove aziende che in un modo o nell’altro provano a proporsi come sostituti dei prodotti mass market posizionandosi come alternativa premium. Non a caso per questa tipologia di prodotti si usa il nome “craft spirits”. Così, se da un lato abbiamo avuto tentativi di declinazioni locali come il P31 di Padova nato per fare uno Spritz verde, dall’altro non mancano i tentativi di andare a contrastare in modo forte e diretto il leader di mercato: così ad esempio ha fatto la distilleria sarda (ma distribuita a livello nazionale dal 2018 da Coca-Cola HBC) con Aspide Spritz. In tempi ancora più recenti è arrivato sul mercato italiano il Déjà-vu Oriental Aperitif, prodotto in Francia ma di proprietà della tedesca Hamburg Distilling. Questo prodotto sul mercato teutonico è arrivato a giocarsi il campionato contro Aperol e sarà dunque curioso vedere come reagiranno i consumatori italiani ora che Dovel ne ha preso la distribuzione per la Penisola.
Il tentativo più recente e decisamente più strutturato di entrare sul mercato degli Spritz di nuova generazione è quello pensato dalla più grande multianzionale di spirits che proprio alle porte di questa estate ha lanciato Venturo Aperitivo Mediterraneo, nuovo liquore base per l’aperitivo creato dal team innovation di Diageo. Di color turchese conta tra i suoi ingredienti limoni italiani, il sale marino, il rosmarino e la camomilla blu.
Spritz, voce del verbo spruzzare
Se fin qui abbiamo parlato di quello che sta succedendo nel mondo dello Spritz “classico”, ovvero delle evoluzioni del cocktail composto da un liquore aperitivo/bitter con Prosecco (o bollicine) e soda, dall’altro c’è un altro filone evolutivo molto ricco e (bisogna sottolinearlo) a volte anche “sbagliato”. Possiamo con un po’ d’ironia dire che la parola Spritz dopo un lungo giro di secolarizzazione sia tornata ad essere verbo, nel significato originario di “spruzzare” in tedesco. I primi ad averci pensato, manco a dirlo, sono stati i produttori di amaro in quanto più vicini per categoria e per sapore alle note amaricanti dei prodotti originali. A spingere moltissimo in questa direzione è stata, ad esempio, Amaro del capo che, da un paio d’anni, propone il Capo Arrabbiato Spritz a base della versione piccante del celebre amaro, di colore rosso fuoco intenso (e brillante) come il peperoncino di Calabria che ha dentro. Ma non manca intraprendenza in questo senso anche se spesso, nonostante il sapore possa convincere, ci si scontra con una innegabile bruttezza estetica: la maggior parte degli amari classici sono infatti tendenti al marrone e torbidi e di conseguenza i drink che ne derivano possono risultare inadatti al vostro desiderio di fotografarli fronte mare e condividerli su Instagram.
Nuovi e vecchi liquori che anelano ad essere spritzati
Dopo gli amari, ad essere spritzati (voce del verbo Spritz) sono stati tutta una serie di nuovi liquori che poi tanti nuovi non sono neppure. Quando Giuseppe Gallo ha ridato vita allo storico rosolio con il suo Italicus, ha capito che il successo sarebbe stato legato alla possibilità di utilizzo nell’alta miscelazione in ogni bar di Italia e del mondo. Idem per il secondo prodotto di Gallo, Savoia, che si rifà a un’altra categoria merceologica “vintage”, ovvero quella dell’Americano (il liquore, non l’omonimo cocktail). Su questa linea ha viaggiato anche Amarea, liquore livornese a base di acqua di mare e alga spirulina, che nei toni marini trovava la sua identità. Infine, per chi vuol provare uno spritz bianco rinfrescante, è da non sottovalutare il liquore “Salvia e Limone” di Compagnia dei Caraibi.
Come sempre succede quando un trend convince i consumatori, le aziende provano in massa a salire sul carro dei vincitori, a volte a discapito del loro stesso prodotto o del risultato finale. A dare il via a questo trend è forse stato il Vermouth che nella sua secolare storia non si è mai sottratto a dosi di seltz o soda, ma che decisamente non è votato a diventare Spritz essendo di base un vino fortificato che va a essere allungato con un altro vino come il Prosecco. Eppure, la folle corsa verso lo Spritz ha portato molti brand a proporre la specialità piemontese come base per (discutibili) Spritz.
Il Limoncello che uccide lo Spritz
Il vero elefante nella stanza – che noi italiani ci rifiutiamo di vedere ma che nel resto d’Europa cresce al ritmo di un’onda di tsunami – è però il “Limoncello Spritz”. La connessione tra questi due elementi all’estero è talmente ovvia quanto sbagliata: Il limoncello è italiano, lo spritz è italiano, insieme faranno qualcosa di super italiano. Esattamente come il cappuccino insieme alla pizza, però, il ragionamento dei nostri vicini per questo binomio di italianità non funziona: anzi, è completamente stonato. Il limoncello è un liquore dolce e assolutamente non adatto al ruolo di aperitivo per il modo in cui in Italia lo concepiamo, ovvero come drink che ha il ruolo di preparare lo stomaco al pasto attraverso l’uso di erbe amaricanti. Questo concetto, che contraddistingue tutti i cocktail che oggi sono famosi nel mondo come “aperitivo all’italiana”, col limoncello scivola via.
Con abbinamenti dolci si rinnega l'identità dello Spritz
C’è voluto il lavoro “didattico” di generazioni e generazioni di barman all’estero per rendere il Negroni il cocktail più bevuto al mondo, per abituare i palati di molti popoli (abituati al dolce) ad apprezzare le note bitter della nostra tradizione. E sarebbe veramente un peccato ora, per vendere qualche Spritz in più, mettersi a inseguire l’ennesima moda che storpia la nostra tradizione e cultura del bar: ma chi glielo va spiegare ai produttori di limoncello? Negli aeroporti di tutto il mondo sono già in vendita le lattine di Limoncello Spritz Ready to Drink: l’onda delle mode, però, è difficile da fermare e se questa è la tendenza per il futuro ci vorrà davvero ancora parecchio tempo prima che il più amato dei drink italiani di questo secolo trovi la consacrazione della critica com’è successo ad Americano e Negroni prima di lui.
Le nuove strade di un aperitivo molto italiano
Nessuno vuole dire che lo Spritz non va toccato, anzi, come detto è un cocktail che fin dalla sua nascita ha avuto e continua ad avere diversi liquori come base. Ma se ci si allontana troppo dall’originale, forse sarebbe il caso di cambiare anche il nome del drink: come fa il Negroni che diventa Boulevardier. E in effetti un esempio famoso già c’è, ovvero l’Hugo: nato in Alto Adige, a base di sciroppo di fiori di sambuco (oppure di liquori a base degli stessi, come St. Germain). Insomma, lunga vita allo spritz e ai suoi figli, sperando che questo albero genealogico abbia il coraggio di allargarsi, a partire dal nome.