Attraverso la lente dei microscopi, il lievito madre appare come una metropoli di batteri in fermento. Una microflora selvaggia, disposta a lottare incessantemente per far scorta degli zuccheri necessari a sopravvivere e moltiplicarsi. Alla base di tutto, una semplice miscela di acqua e farina, capace di nutrire un ecosistema estremamente complesso e delicato, dal cui equilibrio dipendono le sorti del prodotto da forno più antico al mondo: il pane. Forse per questo la "mamma" dei lievitati, croce e delizia dei maestri dell'arte bianca -sempre pronti a sperimentare nuovi metodi per tenerla a bada- continua ad ispirare indagini scientifiche volte ad accertarne la composizione e gli effetti benefici sulla salute umana (ecco il parere dei grandi panificatori al riguardo). L'ultima in ordine di tempo è una ricerca condotta da un gruppo di esperti americani a livello mondiale, con l’intento di far luce su un argomento (finora) piuttosto controverso: l'influenza dei fattori geografici sullo sviluppo del lievito madre.
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Lievito madre solido
Lievito madre. Il nuovo approccio del team di ricerca
Lo studio ha coinvolto un gran numero di esperti, attivi soprattutto nelle università statunitensi (North Carolina, Colorado); all’appello, però, hanno risposto anche autorevoli centri di ricerca in territorio europeo, come l’Università di Copenaghen. Il team ha scelto un approccio differente rispetto a quello adottato finora dagli altri laboratori scientifici: anziché analizzare in via esclusiva i lieviti provenienti dai grandi panifici industriali, si è focalizzato sulla produzione in ambito domestico, caratterizzata da una maggiore eterogeneità; come si può facilmente intuire, infatti, la “madre casalinga” risulta particolarmente soggetta alle variazioni di ingredienti, tecniche di lavorazione e condizioni climatiche tipiche delle preparazioni meno standardizzate. Inoltre, il gruppo ha coinvolto nelle indagini un’ampia rete di colleghi, raccogliendo i dati sull’evoluzione dalla pasta madre in quattro continenti diversi.
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Lievito madre liquido
I risultati dello studio mondiale sul lievito madre
Dopo aver esaminato il DNA di 500 campioni (fra cui 429 di origine americana, e i restanti provenienti da Europa, Australia, Nuova Zelanda e Thailandia), i ricercatori ne hanno individuati 40 che potessero rappresentare altrettanti modelli d’interazione fra lieviti e batteri, analizzandoli da tre punti di vista: organolettico, per individuare gli aromi specifici; chimico, per selezionare i composti volatili emanati dalla popolosa comunità di batteri; statistico, per stimare la quantità dei composti organici presenti nella “madre”. Questi ultimi dati, in particolare, hanno fornito informazioni molto utili sulla velocità di crescita degli impasti. Le conclusioni sono sorprendenti: gli esperti evidenziano la presenza di ben 14 note olfattive dominanti, dall’acido acetico alla mela verde, con una netta prevalenza del primo; inoltre, sembra che la grande quantità di batteri acetici -del tutto inaspettata rispetto al numero di batteri lattici- possa inibire anche in maniera significativa il processo di lievitazione del pane. E la geografia, quanto incide?
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Lievito madre: il luogo di produzione non influisce sul risultato
Secondo gli scienziati, le caratteristiche della pasta madre dipendono da un’infinità di variabili, come l’età del lievito e la frequenza dei rinfreschi. Meno determinante, invece, la posizione geografica, che inciderebbe solo parzialmente sulla tipologia di microorganismi. Forse perché -ipotizza il team- la distribuzione commerciale degli starter e delle farine ha appianato le differenze a livello locale; oppure, semplicemente, perché la maggior informazione in materia ha reso accessibili a tutti una serie di procedure standard per “addomesticare” i lieviti. Ciò non vuol dire che l’importanza attribuita finora ad alcuni metodi, come il celebre San Francisco, vada ridimensionata: piuttosto, l’ambiente gioca un ruolo marginale rispetto alla lavorazione. E il lievito di birra (Saccharomyces Cerevisiae)? Contro ogni aspettativa, risulta assente dal 30% dei campioni presi in esame. Ad ogni modo, l’ecosistema microbico della grande madre è ancora avvolto da un velo di mistero: chissà cosa scopriremo nei prossimi anni.
Per maggiori informazioni sulla ricerca scientifica: www.elifesciences.com
a cura di Lucia Facchini