Il testo della legge e la responsabilità del datore di lavoro
È del 18 ottobre il sì definitivo della Camera al “ddl caporalato”, il disegno di legge per il contrasto al lavoro nero, allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo. Una legge approvata in pochi mesi, con un accordo unanime del Parlamento, fortemente voluta dai ministri Maurizio Martina (Agricoltura) e Andrea Orlando (Giustizia). La nuova legge riformula il reato di caporalato, estendendo la responsabilità al datore di lavoro che sfrutta i lavoratori approfittando del loro stato di bisogno: in poche parole da oggi non è più necessario che ci sia un’organizzazione criminale a rendere sistematico lo sfruttamento per determinare la colpa. Il testo modifica l’art. 603 bis del Codice Penale (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni per l'intermediario e per il datore di lavoro che sfrutti i lavoratori, che possono diventare otto in caso di violenze o minacce, oltre la confisca dei beni anche per il datore di lavoro consapevole dello sfruttamento. Inoltre estende il fondo anti-tratta, previsto per il contrasto del traffico di esseri umani, anche alle vittime dello sfruttamento sul lavoro. In particolare, il provvedimento prevede l’assegnazione al Fondo dei proventi delle confische e estende le sue finalità anche alle vittime del delitto di caporalato.
Le altre novità
Tra le novità introdotte dalla nuova legge c’è anche la responsabilità delle amministrazioni per quanto riguarda la vigilanza e la tutela delle condizioni di lavoro nel settore agricolo: lo strumento sarà un piano di interventi per l’accoglienza dei lavoratori stagionali, che sarà sviluppato di concerto fra il ministero del Lavoro, quello delle Politiche agricole e forestali, il ministero dell’Interno e gli enti regionali e locali. Inoltre, il testo prevede il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità per prevenire il lavoro nero.
Le critiche al nuovo testo di legge
La legge sul caporalato, un successo dal punto di vista legislativo dati l’accordo unanime e la velocità con cui il testo è stato approvato, darà sicuramente filo da torcere alle organizzazioni criminali che fanno dello sfruttamento dei lavoratori una fonte di arricchimento sicura. Ma da più parti arrivano critiche alla nuova normativa considerata carente sotto alcuni aspetti ed eccessiva sotto altri.
Innanzitutto sembrano deboli le azioni previste per contrastare il fenomeno a monte, mentre è il lato repressivo ad aver sostanzialmente guidato l’ideazione del disegno di legge. In secondo luogo, la legge mette i datori di lavoro in una posizione ambigua: “costretti” a vigilare sui propri lavoratori stagionali, non trovano però un corrispettivo nelle istituzioni, dato il fallimento, in particolare nelle regioni del Sud, del sistema degli uffici di collocamento. "Siamo delusi e amareggiati - ha spiegato Ettore Pottino, presidente di Confagricoltura Palermo - Questa legge poteva essere un'ottima occasione per contrastare un problema grave della nostra società è degenerata in una caccia alle streghe, dove la strega è l'azienda agricola".
La legge, secondo Pontino "tratta con lo stesso rigore punitivo chi, con violenze e minacce, sfrutta i lavoratori, sottoponendoli a trattamenti degradanti e disumani, e i datori di lavoro. Questi ultimi assumono e assicurano i dipendenti. Può capitare che, occasionalmente, incorrano in violazioni lievi, meramente formali della normativa contrattuale. La nuova normativa mette sullo stesso calderone il caporalato con comportamenti che sono sicuramente sanzionabili, ma che non possono essere messi sullo stesso piano di atteggiamenti delinquenziali come il caporalato. La pena deve essere proporzionata al reato, altrimenti diventa un atto arbitrario e ingiusto". Critica su questo punto anche la Confagricoltura di Bari, che con un comunicato spiega: "la nuova normativa non opera distinzioni tra i 'caporali' e le aziende che ne utilizzano i servigi e quanti, invece, commettono infrazioni anche lievi alle regole contrattuali".
Il problema della carenza di un sistema di uffici di collocamento efficente, che garantiscano forza lavoro all'imprenditore allontanando il rischio di sfruttamento, è sentito anche da Fabio Ciconte, direttore generale dell’associazione Terra! Onlus e portavoce della campagna #FilieraSporca che sottolinea "un tema che non è affrontato dalla legge è quello della ‘intermediazione lecita’ del lavoro: oggi lo Stato non c’è, non ci sono uffici di collocamento per la manodopera bracciantile, ma gli operatori agricoli ci dicono che non hanno la possibilità di gestire in modo autonomo questa funzione”.
Infine, nessuna responsabilità viene attribuita agli attori della Gdo, forse gli unici in grado di fare effettive pressioni sui fornitori. "Dei 17-20 centesimi al massimo che la Gdo paga ai produttori per un chilo di arance, sono 7 quelli che vanno al lavoratore che le raccoglie".
Il passo successivo dunque potrebbe essere una legge che imponga una reale trasparenza della filiera, in modo che siano chiari l’origine dei prodotti, il tipo di lavorazione subita, le condizioni di lavoro alla base. "Sarebbe necessario - ha aggiunto Ciconte - una ‘etichetta narrante’, che spieghi la vita del prodotto, che non è solo la ‘tracciabilità’ aziendale ma deve essere anche pubblica. Il consumatore deve poter conoscere il nome del fornitore, come sono stati raccolti e trasformati i prodotti agricoli. Se la filiera fosse trasparente tutti quei soggetti intermedi o apicali che oggi vivono all’ombra, e fuori da ogni responsabilità, ne sarebbero parte. Altrimenti continueremo semplicemente a reprimere un fenomeno che non potrà che esistere”. Questo porrebbe non solo le grandi aziende nella posizione di non poter più avallare un sistema di sfruttamento ormai diventato la normalità, ma anche il consumatore in grado di scegliere cosa acquistare e cosa mangiare in maniera consapevole.
a cura di Francesca Fiore