I boschi della Val Seriana
In Val Seriana convivono due anime. L’industrializzazione della valle bergamasca, circondata dalle Alpi Orobie, è iniziata in modo massivo e precoce sin dall’Ottocento, trasformando radicalmente il volto del fondo valle e dei suoi insediamenti. Oggi, l’area è riconosciuta tra i poli manifatturieri più produttivi d’Italia. Ma questo, almeno nell’alta valle, non ha cancellato la bellezza paesaggistica di un territorio alpino punteggiato di boschi e corsi d’acqua, e attraversato da molti sentieri storici e mulattiere. Prima dell’emergenza Covid pochi si interessavano delle sue sorti. Poi la rapida diffusione del contagio, con Bergamo tra gli sfortunati epicentri dell’epidemia. E i dati particolarmente feroci relativi alla gestione dell’emergenza nelle cittadine di Nembro e Alzano Lombardo, centri principali della bassa valle. Passata la bufera, le comunità che abitano il territorio porteranno traccia della tragedia per sempre. Ma nella Val Seriana che rivendica la propria operosità e la sua vocazione turistica, proprio in concomitanza con le settimane più buie, ha visto la luce un progetto che della valorizzazione dell’ecosistema naturale e del desiderio di rinsaldare il senso di comunità fa i suoi punti di forza.
Le Selvagge. Galline ovaiole libere
Le Selvagge è il sogno diventato realtà di Marco Rossi e Alessandro Carrara. Le selvagge in questione sono le galline ovaiole di razza livornese che da un paio di mesi a questa parte razzolano all’aperto nei boschi della Comunità Montana di Nembro, a 650 metri di altitudine. Circa un migliaio di animali, liberi di esplorare il sottobosco, tra faggi, robinie, castagni e pini, accuditi da Marco e Alessandro con il supporto di un veterinario e di un alimentarista, che si preoccupano di garantirne il benessere e bilanciare la loro alimentazione nel rispetto delle normative vigenti. La paternità dell’idea spetta a Marco: “Sono stato ristoratore per vent’anni, poi qualche anno fa ho iniziato a sviluppare format ristorativi replicabili, e l’ultimo progetto, incentrato sulla valorizzazione dell’uovo, mi ha portato a scoprire da vicino le realtà avicole. Mi sono appassionato alla vita delle galline, ho visitato i progetti già in opera. E ho deciso di realizzare un mio progetto, che partisse dal rispetto per l’animale, dove la qualità del prodotto finale è solo l’apice di un impegno mirato a recuperare pratiche tradizionali e a valorizzare il territorio. Le nostre galline amano appollaiarsi sugli alberi, fare le buche, razzolare in libertà”.
Etica del cibo, ambiente e tecnologia
Rispetto per l’ambiente ed etica del cibo sono quindi le parole d’ordine di un’avventura che non può prescindere dall’innovazione tecnologica: “In primis per rispettare le norme che autorizzano il commercio delle uova, che per essere vendute devono essere deposte all’interno del pollaio e poi imballate in una struttura dedicata. Ma soprattutto per avere un controllo accurato dello stato di salute delle galline, con il supporto di un centro di ricerca”. Tutto questo si è tradotto nell’utilizzo di anellini RFID (innocui per l’animale), applicati alla zampa di ogni gallina, per ricevere in tempo reale feedback sulle sue condizioni e sulle eventuali necessità. Ma l’investimento iniziale – importante, per la necessità di portare acqua ed elettricità – è servito anche a realizzare la struttura nel pieno rispetto del bosco: “Siamo sul territorio della comunità montana, ma avevamo bisogno di recintare il terreno per proteggerci dai predatori del bosco. Abbiamo realizzato strutture a basso impatto e un bel pollaio in legno di larice, oltre alla struttura che speriamo possa presto diventare un luogo di accoglienza al pubblico: siamo sul percorso di tre bellissimi sentieri, vorremmo che la gente arrivasse fin qui per scoprirci, acquistare le uova, fermarsi a fare merenda con uno zabaione e qualcosa di frugale realizzato con le nostre uova. È qualcosa che succederà in futuro, ma l’ho immaginato così dall’inizio”.
Le uova selvagge che aiutano la comunità
Vivere alla giornata, del resto, si è rivelata l’unica strada percorribile per affrontare un momento di grande difficoltà emotiva, oltre che imprenditoriale e sociale: “Noi siamo stati fortunati, abbiamo fatto il primo accasamento il 27 febbraio, ci siamo ritrovati ad avviare il progetto nel pieno dell’emergenza. E abbiamo pensato di sostenere la comunità: le prime 15mila uova le abbiamo donate alla Caritas e ai centri di assistenza che operano sul territorio. Poi ci ha chiamato Enrico Cerea, per rifornire la cucina da campo allestita a Bergamo per sostenere l’ospedale. E così, tramite passaparola, abbiamo anche avuto modo di farci conoscere e apprezzare. L’idea di supportare la comunità con i nostri prodotti era nei piani sin dall’inizio, quale momento migliore per farlo?”. Da una decina di giorni appena le uova de Le Selvagge sono anche in commercio, solo in ambito locale (di ordinazioni a distanza è prematuro parlare, mentre la certificazione CE è appena arrivata, e consentirà presto di rifornire le botteghe del territorio): “Le consegniamo a domicilio, in sacchetti da pane riempiti con fieno di montagna e foglietto che illustra le proprietà nutrizionali di un prodotto etico e di qualità. Un uovo costa 50 centesimi, e l’obiettivo è quello di effettuare la consegna entro 48 ore dalla deposizione”.
Ogni mattina le galline depongono nel pollaio, poi si muovono libere in uno spazio di circa 8mila metri quadri. Ma il terreno a disposizione copre 9 ettari, e quando la situazione rientrerà nella normalità l’invito è quello di spingersi a conoscere Le Selvagge, visitare il punto vendita già pronto, concedersi del tempo per capire: “I sentieri che portano sin qui sono adatti a tutti, noi stiamo lavorando con grande semplicità per generare un cambiamento da condividere con tutta la comunità. Crediamo nella forza di un’agricoltura consapevole, sostenibile, che abbia impatto nel sociale”.
a cura di Livia Montagnoli