L’emergenza dei campi profughi è arrivata di recente anche sotto i riflettori del Basque Culinary World Prize 2018, che alla fine, pochi giorni fa a Modena, ha incoronato l’australiano Jock Zonfrillo. Tra i 10 finalisti in lizza, però, c’era pure il nome di Ebru Baybara Demir, chef turca impegnata da tempo al confine con la Siria, a Madir, dove combatte la disoccupazione femminile proponendo formazione in cucina per le donne turche e siriane assunte per provvedere ai pasti nei campi profughi. Un impegno coraggioso e importante nel cuore di uno dei più sanguinosi fronti aperti da un conflitto che sembra non avere mai fine. Ma, e l’argomento è costantemente all’ordine del giorno, i campi d’accoglienza dei migranti costretti a fuggire dai propri Paesi d’origine si moltiplicano in molti Paesi d’Europa, e l’emergenza umanitaria moltiplica gli sforzi di chi è disposto a portare un po’ di sollievo nelle loro vita, in situazione di precarietà perenne.
Il food truck Le Recho
C’è della creatività – oltre che tanta buona volontà – dietro al progetto francese Le Recho, che nel 2016 nasceva con l’intento di avvicinare i rifugiati e le comunità locali attraverso la cucina, e oggi riunisce un’equipe di 12 donne, tra i 25 e i 35 anni. A bordo di un food truck. Quando si è trattato di inventare una soluzione pratica e funzionale per cucinare nei campi profughi, infatti, Vanessa Kryceve ed Elodie Hue hanno subito pensato di ricorrere al mezzo che ha conquistate la ribalta di festival gastronomici e feste di piazza, pianificando però un tour piuttosto inconsueto, tra i centri d’accoglienza di Francia e d’Europa. Un modo per agire concretamente e insieme portare un messaggio di speranza e solidarietà: Recho, non a caso, è l’acronimo di Refuge, Chaleur, Optimisme. Da allora il truck acquistato tramite crowdfunding si muove per portare condivisione attraverso la preparazione di buon cibo, che spesso coinvolge anche i rifugiati dei campi, invitati a cucinare insieme allo staff. E già in passato l’iniziativa è riuscita a coinvolgere chef di fama internazionale, per esempio nella “giungla” di Grand Synthe (ricordiamo a questo proposito anche il progetto in progress di Massimo Bottura, per portare gelati e sorrisi ai bimbi del campo profughi di Tessalonica). Ma al di là delle collaborazioni celebri, quel che conta davvero per una realtà come Le Recho è la volontà di lavorare con continuità sul territorio, portando a casa risultati incoraggianti: la primavera scorsa, ancora una volta a Grand Synthe, il truck ha servito 1600 pasti in due giorni.
Le Grand Recho. Il ristorante solidale di Arras
E il prossimo ottobre, ad Arras, il progetto prenderà fissa dimora (per 15 giorni, dal 6 al 20 del mese) sulla Grand Place della cittadina francese, inaugurando il ristorante solidale Le Grand Recho, dove volontari e rifugiati cucineranno insieme ogni giorno, per servire una media di 150 pasti a prezzo libero (per finanziare le missioni del 2019). Ma il senso di comunità sarà stimolato anche attraverso corsi di cucina e servizi alle persone più svantaggiate, con i rifugiati coinvolti nella distribuzione dei pasti a domicilio per persone anziane e sole. Anche in questo caso è prevista la mobilitazione di grandi chef francesi, che ad Arras cucineranno in piazza con i loro colleghi del posto. L’idea vincente, però, che speriamo possa avere seguito, è quella di ribaltare la prospettiva per rompere le barriere di diffidenza: chi arriva da fuori non necessariamente è un problema, ma anzi può rivelarsi una grande risorsa. A patto che entrambe le parti collaborino al processo di integrazione. E che i rifugiati accolti sul territorio possano cucinare per chi li accoglie è davvero un bel modo per consolidare il legame.
a cura di Livia Montagnoli