E così il giorno è arrivato. Il regolamento comunitario 1169/2011 che aveva messo in preallarme ristoratori e esercenti del settore gastronomico è entrato in vigore anche in Italia e d’ora in avanti detterà legge in materia alimentare. Ma le polemiche non si arrestano, non solo per quanto riguarda l’obbligo di segnalare sul menu gli allergeni presenti in ogni singola preparazione (di cui vi avevamo già parlato qualche tempo fa), ma anche sul fronte etichette alimentari, ambito in cui la nuova normativa rischia di sfavorire i prodotti di nicchia e danneggiare i piccoli produttori italiani che lavorano sulla qualità.
Cominciamo dai vantaggi per il consumatore: ogni confezione dovrà recare un’etichetta scritta in caratteri chiari e più grandi di quanto non sia stato finora; inoltre indicherà il nome e l’indirizzo di chi commercializza il prodotto (il cosiddetto responsabile dell’alimento) e le eventuali sostanze allergeniche, causa di intolleranze (da evidenziare in grassetto nella lista degli ingredienti). Necessario specificare anche quale olio o grasso è stato utilizzato: bandita la dicitura generica oli o grassi vegetali. E più severo sarà il controllo sul processo di lavorazione degli alimenti e dei singoli ingredienti, mentre per i prodotti surgelati sarà obbligatorio indicare la data di congelamento.
Fin qui tutto bene, come ha sottolineato anche il ministro alle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, ribadendo l’importanza di garantire al consumatore un’informazione corretta e adeguata. Ma se da un lato il regolamento assicura un giro di vite contro la carenza di informazioni, dall’altro sembra smentirsi, eliminando l’obbligo di riportare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione e confezionamento della merce.
In poche parole sparisce l’indicazione d’origine (finora obbligatoria in Italia secondo la legge 109 del 1992). A vantaggio delle multinazionali - favorite nel dislocare la produzione nei Paesi con manodopera a basso costo - e di tutti quei prodotti che cercano di clonare il made in Italy cavalcando l’onda dell’italian sounding. Mentre il Codacons insiste sull’importanza di indicare la provenienza delle materie prime, così che le produzioni italiane possano essere tutelate.
E qualche azienda già organizza un fronte comune per tutelare il consumatore; anche Conad si unisce alla protesta: “Noi continueremo a chiedere ai nostri fornitori d’indicare lo stabilimento, così che il consumatore possa essere certo che quel cibo ha creato lavoro in Italia” assicura Giuseppe Zuliani, direttore marketing della nota catena di supermercati.
Eppure, per quanto riguarda la carne si registra un passo in questa direzione: da aprile 2015 anche le carni suine, ovine, caprine e il pollame – come già avviene per la carne bovina - dovranno recare sulla confezione il luogo di allevamento e macellazione. Il primo dei risultati ottenuti dalle pressioni dell’Italia in sede europea. Sperando nelle prossime vittorie.