Si può essere produttori di vino, mestiere antico, concreto, così legato alla terra e insieme visionari? Certo che sì, se ci si chiama Ceretto e da sempre si coltivano insieme la vite e la passione per l’arte, la cultura, la storia. Esempio iconico la Cappella Barolo, una piccola cappella campestre per la quale i Ceretto, hanno chiamato due grandi artisti come Sol Le Witt e David Tremlett e l’hanno trasformata in una esplosione di colori in mezzo ai vigneti del Barolo Brunate: il primo progetto di una lunga serie e un esempio perfetto di interazione fra arte e territorio.
La via selvatica, un percorso ritrovato in 12 dialoghi
Il progetto più nuovo, visionario e intrigante, si chiama La via selvatica, ed è nato in questo periodo di confinamento, dall’osservazione di come la natura abbia cominciato a riprendersi i suoi spazi, mentre l’uomo stava chiuso nella sua dimensione domestica. A curare il progetto Matteo Caccia, gran scopritore/narratore di storie, che a partire dal 12 settembre andrà alla ricerca dell’anima selvatica, di quella parte “non addomesticata” nascosta in ognuno di noi. 12 dialoghi, uno al mese (il numero 12 è la cifra-feticcio di tutto il percorso) per far emergere le esperienze profonde di chi si misura ogni giorno con la propria parte selvatica. Ci sarà un funambolo-filosofo, Andrea Loreni, un paesaggista, Paolo Pejrone, e via via una lupologa, un allenatore sportivo, un musicista, il navigatore Ambrogio Beccaria… Anche una grande chef, la slovena Ana Roš, a raccontare come addomestica le materie prime sulla tavola.
Scenario dei dialoghi, i luoghi intatti e autentici all’interno dei territori Ceretto : le vigne, il ristorante Piazza Duomo, la Cappella del Barolo, la Casa d’artista, le cantine della Tenuta Monsordo Bernardina e Bricco Rocche, esempi di cura e valorizzazione del territorio, fra realtà selvatica e addomesticata. I primi interventi saranno trasmessi e resi fruibili al pubblico online (dal 12 settembre, ogni 12 del mese su www.ceretto.com e poi in podcast), e a partire dal 2021 si potrà finalmente partecipare attivamente agli incontri. Gran finale a settembre 2021 per un’esperienza selvatica a 4 mani, con gli chef Ana Roš ed Enrico Crippa.
Il menu selvatico di Enrico Crippa
Ed è stato proprio lo chef del Piazza Duomo, in occasione della presentazione del progetto, a proporre un visionario menu selvatico, dal capRiccio al patè di cortile, dal carpione a un sorprendente ragout d’agnello alle spezie, con una cagliata vegetale per finire. Tutto accompagnato dai vini Ceretto, l’Arneis Blangè, il Barolo Brunate 2015, il Moscato d’Asti 2019. È stato Bruno Ceretto, il patron, età dichiarata 1004 mesi (fate un po’ voi il conto), a scoprire e volere per il ristorante Piazza Duomo Enrico Crippa, a suo giudizio uno dei più grandi chef non solo in Italia.
Un ennesimo sogno visionario
Fra i due c’è una sintonia perfetta, che forse attinge all’anima selvatica di ciascuno. L’ascetico Crippa, che si sposta in bicicletta, dedica cure infinite al suo orto, e ha fatto della sua insalata un piatto-icona; e Bruno Ceretto, che non rinuncia alla sua quotidiana partita di tarocchi, teorizza il capitalismo sociale, ha girato il mondo (è andato a vendere vino fino in Alaska), ma trova il suo equilbrio solo qui, nell’ultima collina che ha acquisito, Biria a Diano d’Alba, il suo rifugio del cuore, da dove vede i tre campanili della vita: quello di Barolo, quello di Barbaresco e quello di Alba. E in questo scenario si realizzerà entro qualche anno un altro sogno visionario firmato Ceretto e Crippa: uno spazio di cibo e accoglienza, 25 camere e un ristorante di 50 posti, aperto solo a pranzo (il vero gourmet pranza, non cena), tutti seduti alle 12, servizio che inizia alle 12.30, non si ammettono ritardi. Il vino – Barolo, per Ceretto "l’assoluto"- il cibo, l’accoglienza. Una via selvatica addomesticata quanto basta.
a cura di Rosalba Graglia
foto di apertura di Marco Varoli