Il referendum contro l'uso dei pesticidi in Svizzera
Sarebbe stato il primo Paese in Europa a bandire l’uso dei pesticidi sintetici in agricoltura, il secondo al mondo dopo il Buthan, che l’approccio a una produzione più sostenibile l’ha normato diversi anni fa, completando l'iter di recente. Ma la Svizzera ha votato no. Chiamati a valutare una serie di referendum su tematiche disparate – dall’aumento delle tasse per contrastare il cambiamento climatico all’impegno contro il terrorismo – gli svizzeri si sono ritrovati alle urne domenica 13 giugno, anche per esprimere la propria idea sul divieto all’uso di pesticidi (non solo in agricoltura, ma anche nella manutenzione del verde pubblico) e, dunque, per coerenza, sul divieto all’importazione di cibi prodotti con l’utilizzo di chimica in campo. La proposta di legge, se avallata dal consenso popolare, avrebbe previsto una transizione da completare nell’arco del prossimo decennio, fino al bando definitivo dei pesticidi, in un Paese dove il peso economico e politico dell’industria agrochimica è ben rappresentato dalla Syngenta (sede a Basilea, ma proprietà cinese), tra i leader mondiali nella produzione di prodotti fitosanitari.
Favorevoli e contrari. Le motivazioni
Anche per questo il dibattito tra favorevoli e contrari, nei mesi che hanno preceduto il voto, è stato acceso, con governo e parlamento chiari nell’esprimere la loro contrarietà, forti del fatto che attualmente, in Svizzera, l’uso dei pesticidi è consentito solo dopo test rigorosi. Il fronte del no, inoltre, ha fatto valere come deterrente le eventuali ricadute sociali ed economiche della vittoria del sì, prospettando un rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari una volta venute meno le importazioni dei cibi destinati al bando (la Svizzera importa dall’estero più del 60% dei prodotti agricoli consumati annualmente nella Confederazione). Per contro, le associazioni schierate a sostegno del sì – in appoggio all’istanza promossa da scienziati e agricoltori - hanno fatto leva, nelle settimane scorse, sui rischi per la salute e l’ambiente, ridimensionando l’impatto economico su un settore che in Svizzera può già contare su molte aziende bio che hanno rinunciato ai pesticidi. Parte dell’opinione pubblica si è mostrata sensibile alle tematiche ambientaliste, ma questo non è stato sufficiente: così la Confederazione Elvetica ha respinto con oltre il 60% di no il bando all’uso di pesticidi, e – dopo un testa a testa – anche la proposta per la riduzione delle emissioni di CO2 è stata respinta, con il 51% di voti contrari. Bloccata anche la proposta “Per acqua potabile pulita e cibo sano”, sempre incentrata su una rivoluzione del settore primario, con il blocco delle sovvenzioni a chi fa uso di pesticidi in campo e antibiotici in allevamento. A bocciare le istanze sono stati soprattutto gli elettori che vivono (e lavorano) in campagna, mentre i voti favorevoli si sono concentrati nelle grandi città (nei sondaggi pre-elettorali la maggiore concentrazione di contrari all’utilizzo di pesticidi risiedeva nella Svizzera italiana).
L'Italia e i pesticidi
Resta dunque ancora una mosca bianca il piccolo Comune altoatesino di Malles, primo in Europa ad approvare l’abolizione della chimica in campo nel suo territorio. Per quel che riguarda l’Italia, un recente rapporto dell’Eurostat ha evidenziato come le vendite di pesticidi, nel Paese, siano crollate di un terzo nell’ultimo decennio, in controtendenza rispetto a Paesi quali la Francia e la Spagna, dove il consumo di pesticidi è in crescita. Questo non può far dimenticare che, secondo l’inchiesta pubblicata alla fine del 2020 da Greenpeace UK, l’Italia risulta essere il secondo esportatore europeo di pesticidi vietati nell’UE, seconda solo al Regno Unito. I dati sono relativi ai commerci del 2018, e fotografano l’intensità delle esportazioni (pianificate, ma non sempre portate e termine, per onor di trasparenza) di dieci diversi prodotti agrochimici pericolosi alla volta di Stati Uniti, Australia, Canada, India, Giappone, Messico.