Nell’Italia che almeno per le prossime due settimane sarà colorata in prevalenza di arancione e rosso, il settore della ristorazione non sembra vedere la fine di una crisi che ha privato bar e ristoranti della possibilità di poter svolgere il proprio lavoro. Ormai da quasi un anno. La situazione accomuna buona parte dei Paesi europei, con restrizioni e chiusure più o meno drastiche e prolungate nel tempo, nel periodo che si spinge fin quasi all’inizio della prossima primavera, con la priorità di limitare i danni della cosiddetta terza ondata pandemica. Ma come sono andate le cose finora?
La situazione di bar e ristoranti in Europa. L’indagine Fipe
Il documento appena stilato da Fipe/Confcommercio – federazione che rappresenta i pubblici esercizi italiani – fotografa lo scenario europeo nel periodo compreso tra la fine del 2020 e l’inizio del nuovo anno, confrontando misure restrittive e azioni di sostegno economico e occupazionale predisposte dai diversi governi. Una comparazione utile a fare chiarezza, dati alla mano, sul dramma di una delle categorie (non l’unica) tra le più penalizzate dall’emergenza sanitaria. Il quadro in cui ci si muove, non a caso, vede il 90% degli esercizi pubblici d’Europa obbligato alla chiusura (il periodo di riferimento dell’indagine, ricordiamolo, è quello che va da novembre 2020 a oggi, e dunque anticipa anche le restrizioni già comminate per le prossime settimane, con le informazioni disponibili al 13 gennaio 2021). Il restante 10% è comunque costretto a operare con limitazioni orarie. La differenza sta principalmente nel modo di affrontare l’emergenza sul fronte di aiuti economici, sgravi e rinvii fiscali, misure a supporto dei lavoratori. Nel dettaglio, la situazione italiana è confrontata principalmente con quella di Francia e Germania, perché – spiega la Fipe – “si tratta di Paesi con regime simile a quello italiano e i cui governi sono intervenuti in maniera omogenea a differenza di altri Paesi, come ad esempio la Spagna, che è intervenuta tramite le singole autonomie”.
Il confronto tra Italia, Francia e Germania
I tre Paesi si sono mossi con tempistiche pressoché analoghe, anche se all’inizio dell’autunno è stata la Francia ad anticipare tutti: dunque a ottobre, con gradualità, si è assistito al nuovo stop parziale per gli esercizi pubblici, secondo aree geografiche e principalmente con limitazioni orarie. Novembre, e soprattutto dicembre, hanno confermato il trend, portando alla chiusura totale di bar e ristoranti. Quando l’analisi si sposta su ristori e misure di sostegno, le tabelle comparative si complicano (ma la lettura è agevole). Partendo dagli affitti dei locali commerciali, per esempio, è l’Italia la più decisa: mentre la Germania non ha approntato correttivi, la Francia è intervenuta con credito d’imposta pari al 50% dell’ammontare del canone, ma solo per il mese di novembre 2020; in Italia il credito ammonta al 60% del canone, per il periodo compreso tra ottobre e dicembre 2020. E a questo si aggiunge la sospensione degli sfratti anche a uso non abitativo. Tra i provvedimenti più virtuosi, però, spicca la riduzione dell’Iva per i ristoranti (limitata alla sola parte food) predisposta dalla Germania già la scorsa estate, e ancora in vigore per il primo semestre del 2021, con un taglio dal 19% al 7%; l’Italia, invece, si distingue per il cosiddetto “bonus centri storici”, contributo a fondo perduto per le attività economiche e commerciali dislocate nei centri storici, a parziale compensazione delle perdite registrate nel mese di giugno 2020 sul 2019, fino a un massimo di 150mila euro. E per il Fondo Filiera Ristorazione, pur fino a un massimo di 10mila euro, per l’acquisto di prodotti alimentari del territorio.
I ristori. Come e quanti
Il capitolo ristori è il più sanguinoso. In Italia si dibatte da tempo sull’inefficacia di aiuti economici calcolati esclusivamente sul fatturato di aprile 2019, poco significativo per compensare le perdite di periodi dell’anno ben più movimentati e redditizi, e all’origine dell’esclusione di tutte le giovani attività.
Al di là di questo “inghippo” – non di poco conto – è la Germania a mostrare il quadro più chiaro, con contributi calcolati sulla perdita di fatturato rispetto all’anno precedente dei mesi corrispondenti alle chiusure (se più del 70% per il 90% dei costi fissi, se compresa tra il 70% e il 50% pari al 60% dei costi fissi, se compresa tra il 50% e il 30% pari al 40% dei costi fissi, o, in alternativa, a ristori fino al 75% del fatturato dei mesi di novembre e dicembre 2019).
In Italia, i ristori, calcolati indistintamente sul mese di aprile 2020 sul 2019, coprono “solo” il 20% delle perdita di fatturato, moltiplicato però per coefficienti che distinguono bar (150%) e ristoranti (200%).
Mentre in Francia la gestione è più articolata, e per questo rimandiamo allo schema in tabella. Resta da considerare la variabile più sfuggente, relativa ai tempi di erogazione degli aiuti, che pure, in Italia, stanno facendo discutere.
Cassa integrazione e previdenza
Compatto il fronte sulla cassa integrazione (l’Italia, dall’inizio della pandemia ha predisposto 42 settimane di cassa, oltre al blocco dei licenziamenti fino alla fine di marzo 2021). Divergono invece le misure di previdenza sociale, con la Germania che ha preferito rimborsare le prestazioni, anziché sospenderle o differirle.
Le prossime settimane in Europa
La slide che riassume lo stato dell’arte nei principali Paesi d’Europa, invece, mostra come cambino rapidamente le cose: buona parte delle scadenze indicate, infatti, sono già superate. Dall’Italia, che a partire dal 16 gennaio sconta gli effetti del Dpcm che si protrarrà fino al 5 marzo, alla Francia, che ha ulteriormente prolungato lo stop per bar e ristoranti (qui un quadro europeo più aggiornato).
La situazione dei pubblici esercizi in Europa: il documento di Fipe