Cibo, storia, arte, letteratura, cinema e poi ancora cibo. In Sicilia è un amalgama inestricabile. Come ogni singolo tassello che compone gli strabilianti mosaici nel Duomo di Monreale, così esiste nella terra siciliana un fil rouge che lega il cibo e la cucina con la letteratura e il cinema, talvolta in piena contrapposizione, altra come complemento della narrazione.
L’occasione che conferma questa tesi è stato un webinar organizzato dalle Delegazioni dell’Accademia italiana della cucina di Singapore, di Ragusa e di Buenos Aires con un tema accattivante, Mondo Montalbano: La Sicilia tra Cucina, Cultura e Internazionalizzazione. Cultura, sì, perché vanto dell’Accademia è sempre stato, dalla sua fondazione nel lontano 1953, di coniugare cultura e cibo, anche in virtù del fatto che i fondatori erano, prevalentemente, giornalisti e scrittori che amavano e credevano nella cultura del cibo.
Mondo Montalbano: La Sicilia tra Cucina, Cultura e Internazionalizzazione
Un appuntamento da grandi numeri: 109 accademici e 92 ospiti dislocati in 22 paesi del mondo, da diverse latitudini e con diversi fusi orari: questa volta la tecnologia è stata di grande supporto per un parterre du roi di primaria levatura. Essendo io uno degli Accademici partecipanti, ne vorrei riportare le sensazioni e raccontare qualcuna delle emozioni di questa lunga diretta organizzata da Alberto Lisdero di Buenos Aires, Giorgio Rosica da Singapore e Vittorio Sartorio da Ragusa sotto l’egida di Paolo Petroni, Presidente dell’Accademia della cucina.
A farla da padrone è stato Cesare Bocci, l’attore che ha interpretato per ventidue anni il personaggio di Mimì Augello nei diversi episodi di Montalbano. È stato lui il vero protagonista della serata, incalzato da Anna Lanzani - Delegazione di Buenos Aires - con interessanti domande alle quali l’attore ha risposto con sincera generosità. In un racconto fitto di ricordi e aneddoti che ripercorrono questi anni di cinema e cucina.
“Riaprì il frigo e fece un nitrito di pura felicità. La cammarera Adelina gli aveva fatto trovare due sauri imperiali con la cipollata. Assittato sulla verandina, si sbafò coscienziosamente tutto” racconta Andrea Camilleri, in Gita a Tindari. La verandina è quella descritta nel romanzo La mia casa di Montalbano da Costanza DiQuattro, presente con una testimonianza video. Nel suo libro, c'è il racconto di chi la terrazza sul mare di Puntasecca, alias Vigata, l’ha vissuta realmente, nei giorni d'estate della sua infanzia, prima che quella sua casa fosse familiare ai più e – in un certo senso – diventasse la casa di tutti. Ma tre le pieghe dei romanzi e dunque nei fotogrammi della serie televisiva, c'è un'altra verandina, quella della trattoria sul mare Da Calogero diventa il genius loci di tanti episodi dominati dai profumi di cibo frammisti a quello della salsedine, uno scenario scandito dallo sciabordio delle onde che talvolta crescono fino a coprire i dialoghi di Montalbano con i suoi commensali, quelle brillanti conversazioni che si snodano tra ipotesi criminali e ricette per cucinare il pesce o la pasta.
Il racconto del cibo nella letteratura siciliana
Ed è proprio questa presenza della cucina come coprotagonista l'elemento caratteristico di tanta letteratura siciliana, a partire dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa dove la nobile frugalità di un déjeuner sur l'herbe diventa introduzione all’apoteosi dei piatti serviti durante la cena nel palazzo di Donnafugata. Ma descrizioni analoghe le troviamo nei romanzi appassionati di Vitaliano Brancati, Ettore Patti, Giovanni Verga, Luigi Pirandello senza dimenticare Leonardo Sciascia che ricorda come per la cucina siciliana (e italiana in generale) una delle condizioni di successo sia rappresentata dalla ricerca degli ingredienti, non di rado prodotti semplici, materie prime raccolte nella campagna: “Fatto il sopralluogo, il loro proposito era di darsi a raccogliere asparagi e cicorie, festosamente: tutti e tre esperti a riconoscere le buone verdure selvatiche, da contadini che erano stati”. (Leonardo Sciascia, Una storia semplice). Andrea Camilleri non rinnega questa tradizione e, anzi, la fa sua come non mai nelle storie del commissario Santo Montalbano.
Cesare Bocci con la sua simpatia ce l’ha fatta rivivere, insieme a gustosi dietro le quinte. Come quando racconta il piacere di ingozzarsi di cannoli freschi durante le riprese così come faceva anche un altro dei protagonisti, il Dott. Pasquano, una sensazione immaginifica per chi scrive: in quel periodo, mi trovavo in quarantena in Cina con appena il cibo della sopravvivenza. Un racconto, quello di Bocci, che fa da contrappunto a quello di Giuseppe Scaccianoce, delegato di Singapore (e, come Bocci, appassionato di cucina), che nella sua presentazione, con spirito e foga tutti siciliani, ha raccontato la storia degli arancini. Pietanze di tradizione, che però indicano il futuro e l'evoluzione di una cucina regionale capace di varcare i confini e conquistare spazio nei cinque continenti, forte di un linguaggio internazionale che sa competere allo stesso livello con altri sapori, come quelli descritti da Scaccianoce nel suo racconto della cucina di Singapore.
Questo viaggio ideale, con i suoi viaggiatori sparsi nei due emisferi, si è chiuso lasciando una domanda: come comunicare con forme nuove l’atavica peculiarità della cucina italiana?
a cura di Marco Leporati