Quale pizza? Napoletana, romana, veneta, di Tramonti, New York, Chicago, San Paolo, al forno, fritta: incredibile come un semplice mix di farina, acqua, lievito possa produrre risultati tanto diversi. A raccontarceli tutti, Luciano Pignataro, nel bel volume edito da Hoepli, un atlante storico geografico che accompagna il lettore tra le diverse versioni della pizza, che sono molte. Tanto che, nella prefazione, Giuseppe Montesano si interroga se esista una pizza ideale. Riflessione quanto mai opportuna, visto il tifo scatenato che divide gli appassionati in opposte fazioni. Eppure dovrebbe essere così semplice: impasti, lasci maturare, condisci, cuoci. E invece no, i risultati sono sensibilmente diversi, le differenze ben visibili anche a un occhio poco allenato. Si tratta di prodotti differenti ma (quasi sempre!) con una loro dignità. Anche se la pizza ideale, quella che si incontra (o così dovrebbe essere) almeno una volta nella vita, è indiscutibilmente napoletana. Ma è proprio l'incontro fortunato ed estatico con questo ideale che fa accogliere le altre come tentativi, più o meno riusciti, di riprodurre quel magnifico archetipo. La butta sulla filosofia cercando un iperuranio delle pizze, Montesano, per spiegare perché anche un napoletano Doc (dunque addicted di pizza napoletana Doc) come Pignataro abbia scelto la strada dell'apertura e del confronto, senza fondamentalismi e isterie. E anzi abbia voluto comporre un mosaico variopinto intorno alla napoletana, ovvero quella che rimane – sia ben chiaro – la regina della festa.
Gli innovatori
Della pizza Pignataro racconta stili e maestri, illustrando tre nomi che hanno operato una vera rivoluzione: Enzo Coccia, con la sua ricerca – i tempi non sospetti - sulle lievitazioni e la materia prima e la decisione di aprire solo la sera quando ancora la pizza era il tipico pranzo fuori casa, Gabriele Bonci, con il lavoro su prodotti (di qualità, sani ed etici) e lavorazione nella pizza al taglio, Simone Padoan con la pizza a degustazione con un approccio simile a quello degli chef e l'ingresso delle pizze nel panorama gourmet. Tre protagonisti, in tre zone del paese e con tre stili diversi, a segnare il tempo di un cambiamento che, nel giro di qualche anno, ha assunto le dimensioni di una rivoluzione epocale, per la capacità di coinvolgere addetti ai lavori e semplici consumatori sempre più attenti alle evoluzioni del settore.
Il percorso storico
Il volume comincia con un percorso storico, alla ricerca delle origini e dei progenitori della pizza, ne riporta le testimonianze scritte andando fino all'Antica Roma e poi torna indietro, tra frammenti e immagini che la ritraggono, ne individua parenti vicini e lontani, si ferma nel '700 e continua il suo viaggio fino a trovare pronipoti di oggi, esponenti della tipologia a canotto, o campioni di virtuosismi gastronomici. Comincia così un racconto ricchissimo, senza neanche una ricetta.
La pizza napoletana
La pizza napoletana è la protagonista principale e, anche se non mancano tutte le consorelle, è quella ritratta con più minuzia, attraverso un percorso ancora una volta storico corredato da un ricco apparato di immagini e fotografie d'epoca. Ma poi Pignataro passa all'attualità e al disciplinare, ai “sottostili” che a Napoli costruiscono un puzzle nel puzzle delle pizzerie, al racconto delle insegne storiche – quelle centenarie – fino ai ritratti dei volti nuovi, i grandi maestri pizzaioli che hanno saputo restituire onore e fama a questo cibo povero sdoganandolo anche nel mondo dell'alta ristorazione ed esportandolo fuori dalla città e perfino fuori dall'Italia.
La romana
In teglia, alla pala, o al piatto. La pizza a Roma è una e trina, e Pignataro ne racconta la storia di oggi e di ieri. Passa per il già citato Gabriele Bonci e arriva fino ai nuovissimi esponenti di questa nouvelle vague capitolina: Jacopo Mercuro, Mirko Rizzo, Pier Danele Seu, senza tralasciare i protagonisti della rivoluzione bianca: Giancarlo Casa, Stefano Callegari e via così.
I veneti
Non manca, ovviamente, quella che è forse l'ultima nata tra le grandi scuole della pizza, quella veneta, con campioni del calibro di Simone Padoan e Renato Bosco che hanno saputo, non solo accedere i riflettori su questa parta d'Italia fino a pochi anni fa marginale, ma anche creare un vero e proprio stile che è stato adottato anche in altre parti d'Italia.
Le altre pizze
Baresi, liguri, siciliane: l'Italia da Nord a Sud è costellata di impasti e lievitazioni che assumono i contorni tipici del cibo povero regionale, si tratti di sfincioni, focacce, piadine, panuozzi: tanti prodotti diversi patrimonio della nostra cultura gastronomica. A queste Pignataro unisce anche la pizza di New York, di Chicago e di San Paolo, per qualcuno prodotti neanche assimilabili alla Pizza con la P maiuscola, ma cibi sempre capaci di raccontare una storia e attirare i golosi. Perché – come scritto nelle prime pagine “Qualsiasi pizza è buona, se è buona”.
Prodotti, forni e abbinamenti
Un percorso così dettagliato non potrebbe essere completo senza uno sguardo attento sulle materie prime – farine, pomodoro, mozzarella, olio e grassi, aromi e lievito - e le tecniche di cottura, dal forno (elettrico, a legna, al vapore) alla frittura. Sugli abbinamenti con vini e birre. Concludendosi, poi, con un glossario ragionato dei termini più importanti: un prezioso vocabolario del pizzaiolo, perfetto per districarsi nel labirintico mondo di impasti e lievitazioni.
La pizza. Una storia contemporanea – Luciano Pignataro – Hoepli – 176 pp. - 29,90 €
a cura di Antonella De Santis