Affrontare il tema della sostenibilità della filiera alimentare si scontra necessariamente con il problema dello spreco di cibo che in Italia è più ingente di quanto si pensi, e coinvolge ciascuno di noi. Nel nostro Paese lo sperpero di risorse alimentari comincia nei campi, dove non è raro ritenere più vantaggiosa la scelta di non raccogliere i prodotti in mancanza di un ritorno economico soddisfacente; poi frutta, verdura e generi deperibili arrivano sulla tavola, nelle nostre case: qui lo spreco fa registrare un costo medio a famiglia di 350 euro l’anno, per un peso complessivo sul Pil nazionale di 8,7 miliardi di euro annui.
Cifre con cui è doveroso fare i conti, tanto da spingere il ministero dell’Ambiente a mettere a punto un piano nazionale di prevenzione dello spreco, il Pinpas, per sollecitare il recupero di alimenti prossimi alla scadenza nel circuito della grande distribuzione.
E intanto cosa fare dei prodotti in eccedenza che restano nel frigorifero prima di un fine settimana fuori porta? Anche i cittadini si stanno mobilitando per attivare una rete di condivisione che favorisca la redistribuzione delle risorse, agevolando il consumo e il consolidamento di un modello virtuoso improntato sulle sharing economy (che finalmente comincia a farsi strada anche in Italia, pur tra mille difficoltà, con anni di ritardo rispetto al mondo anglosassone e al Nord Europa).
Per questo l’iniziativa presentata al Sana di Bologna pochi giorni fa, con la sponsorizzazione della Coop Adriatica, è destinata a riscuotere successo: grazie a un gruppo di giovani esperti di informatica sarà possibile evitare lo spreco con un clic, semplicemente segnalando la disponibilità di un alimento in eccedenza sul sito scambiacibo.it, meglio se accompagnato da una foto del prodotto. Un’idea semplice quanto efficace, che geolocalizza il donatore sulla mappa consentendo agli interessati nelle vicinanze di prendere i contatti e organizzare la consegna. Certo, la buona riuscita dell’operazione per l’istituzione di una rete di scambio domestico diffusa sul territorio in modo capillare dipende tanto dalla buona volontà dei partecipanti quanto dalla capacità di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma l’esempio più che positivo della Germania indica la strada da percorrere.
Ci crede Raphael Fellmer, il giovane berlinese che ha messo in piedi una piattaforma per il salvataggio e la condivisione del cibo che oggi coinvolge tremila persone in tutta la Germania mettendo in contatto gli utenti con i gestori dei supermercati, che segnalano su una mappa online la possibilità di donare cibo altrimenti invenduto sugli scaffali. Sullo stesso modello si fonda il successo di foodsharing.de, la seconda creatura di Fellmer per la condivisione di cibo tra privati: un progetto ormai affermato nelle città tedesche, arrivato anche a Torino con un food sharing cittadino su facebook. Ma siamo pur sempre in Italia: l’ostacolo maggiore potrebbe venire dalla burocrazia, che moltiplica gli adempimenti necessari per la donazione di cibo.