C’è chi ha gridato all’oltraggio, chi ne ha fatto una questione di comunicazione; in pochi, pochissimi sono partiti da una scelta consapevole. Nel mensile di settembre del Gambero Rosso abbiamo raccontato come si evolve una tendenza ricca di futuro: la cucina sopra la pizza.
Cucinare sulla pizza e per la pizza
Cucinare sulla pizza e per la pizza è una cosa seria, che presuppone una conoscenza profonda della materia prima che si va a trattare, delle tecniche di cottura e conservazione dei cibi, una scelta che incide profondamente sugli spazi e sui costi del locale, per il personale coinvolto, le tecnologie e le dimensioni della cucina. È un fenomeno che è partito dall’esigenza di alcuni pizzaioli più sensibili di cambiare la qualità degli ingredienti che andavano a condire la pizza e che poi, grazie a una commistione virtuosa con il mondo della cucina, ha preso le strade più diverse. È in pratica l’ultima tappa di un percorso ben più ampio e condiviso che ha messo al bando scatolame e ingredienti pretagliati nei quali è stato confinato a lungo il mondo della pizzeria.
Cosa è la cucina sulla pizza?
Occorre però fare chiarezza: cosa vuol dire cucinare sulla pizza? Prima di tutto, implica il partire dal prodotto fresco, il saperlo trattare, abbinare e in ultimo il saperne concepire l’incontro con la base, che sia focaccia, pizza in teglia o la tonda napoletana. Perché topping e impasto devono viaggiare sullo stesso binario e alla fine incontrarsi nel modo più naturale e piacevole possibile. Non vogliamo certo fare considerazioni nel merito delle possibili e tante scelte, piuttosto un tentativo di definire origini e fenomeno di una tendenza che comincia a imporsi con forza. Ecco perché non troverete una lista delle migliori pizzerie che fanno cucina sulla pizza: in molti locali le due linee convivono e in altre quello della cucina rimane lo sfizio creativo del pizzaiolo con una, due proposte in carta. Quelle dedicate interamente al progetto rimangono pochissime, con un’esperienza unica, che ha fatto da apripista, riscrivendo il concetto stesso di pizza: I Tigli di Simone Padoan a San Bonifacio nella provincia veronese.
L’esperienza de I Tigli
Nel 2012 il pizzaiolo veneto decide di ristrutturare la sua pizzeria separando le due zone di lavoro per impasti e topping, con un laboratorio dei lievitati e una cucina vera e propria per poter mettere a punto tutta la linea. “Quella ristrutturazione partiva da un’idea più lontana, quella che mi aveva spinto dodici anni prima a rivoluzionare uno dei prodotti più importanti della tradizione italiana: dare maggior valore alla pizza come piatto unico - racconta Padoan - Sono partito ragionando proprio sulle pizze più semplici, una salsiccia e funghi per esempio. Può diventare una grande pizza con una salsiccia artigianale e con un buon fungo fresco, che sia un finferlo, un porcino o uno champignon ben trattato”. Con il tempo, a Padoan e alla sua squadra si sono aperte nuove strade e il lavoro in pizzeria si divideva bene tra prodotti artigianali ben valorizzati sulla tonda e prodotti freschi, trattati ex novo in cucina, trasformati secondo le idee e la creatività del pizzaiolo. “Prendiamo il prosciutto cotto, per esempio - spiega Simone - Si può scegliere di usarne uno di ottima qualità o lavorare il prodotto da fresco, partire dalla coscia di maiale. Io ho scelto quest’ultima strada”.
L’organizzazione del lavoro e degli spazi
Per la scelta e la lavorazione della materia prima Padoan ha attinto a piene mani dal mondo della ristorazione, mentre per il modello e il sistema di lavoro l’osservazione della pasticceria è stata fondamentale. “Le pasticcerie sono organizzate alla perfezione, la zona vendita è separata da quella del laboratorio”. Così ha trovato un sistema per snellire il servizio, rendere al meglio in tavola e ottimizzare gli ingredienti che utilizza, evitando completamente gli sprechi. Si lavora in due laboratori, quindi, uno dedicato ai lievitati e uno ai condimenti. Quest’ultimo è una cucina vera e propria, dotata di tutta la tecnologia necessaria “Abbiamo 80 metri quadrati a disposizione; all’inizio, per qualche mese ci siamo stati larghi, poi, è diventata piccola anche quella cucina. Siamo dotati di celle di lievitazione, di frigoriferi a varie temperature, uno per carni, uno per formaggi e uno per verdure, abbiamo abbattitore, macchina del sottovuoto e tutto ciò che ci serve per trattare e stoccare al meglio il prodotto - continua il pizzaiolo veneto - Abbiamo avuto dieci anni per lavorare su un’idea, per perfezionarla, per ragionare con il cliente. Così quando il contenuto era pronto abbiamo creato il contenitore, a quel punto il contenuto è esploso”.
Tecniche e impasti per diverse soluzioni
Oggi Padoan propone dalle sei alle otto tipologie di basi diverse, a cui si abbina un meticoloso lavoro ai fuochi. In cucina ogni giorno almeno tre persone aspettano l’arrivo dell’ingrediente fresco: qui viene lavorato, porzionato, abbattuto, nella grammatura prevista dalla ricetta. E infine si lavora alla pianificazione per il giorno dopo. Ai Tigli anche la tecnica ha la sua importanza e deve essere mirata a mantenere il più possibile integro il prodotto. “Le stagioni ci guidano inevitabilmente sui contenuti e i modi. Ogni momento dell’anno ha la tecnica di cottura dedicata. A ottobre ci sono le prime cotture al forno, in inverno ci si concedono tempi e lavorazioni più lunghe, si usa più quinto quarto, anguilla, pesci più grassi, la piovra, tutto si abbina a verdure più zuccherine. In primavera prediligo il crudo, a partire dal germoglio di luppolo. In estate ci divertiamo con le verdure acide”. E poi arriva la parte più bella, quella in cui il prodotto incontra la base e si gioca con gli abbinamenti, ma senza voli pindarici. “Con una carne rossa, dal tipico sapore sanguigno, ferroso e selvaggio, ci abbiniamo una base con la segale, che ne vada a esaltare le caratteristiche, lo accompagni. A me, poi, piace il croccante, il tostato, amplifica il sapore del grano”. E bisogna conoscere bene il prodotto per giocare al meglio con tutte le sue componenti.
Cura massima degli ingredienti
Molti degli ortaggi che arrivano ai Tigli si coltivano nei terreni di famiglia di Simone, pomodori e basilico in primis. Il pomodoro si lavora in estate, fresco per la linea estiva e per le conserve che serviranno per l’inverno. Così il basilico: “Raccogliamo le foglie e ne lascio una parte perché fiorisca, i fiori di basilico sono incredibili”. Gioca sulla freschezza e sui profumi estivi anche la Sapori Mediterranei con salsa di datterino, dentice cotto due minuti con il vapore del pomodoro stesso e profumi essiccati di salvia, timo, timo limone, cappero, buccia di pomodoro. Simone con l’emergenza ha dovuto ridurre i coperti da 90 a 45. “Questo ho, con questo voglio e devo fare il meglio possibile. I Tigli non torneranno più a 90 coperti, questa per me è un’occasione per approfondire, per offrire ancora di più ai miei clienti”.
Le origini di un percorso
Certo, abbiamo finora parlato di un percorso al suo massimo punto di arrivo, con l’esperienza di Padoan che fa da modello, da stimolo e da apripista nel mondo delle “nuova pizza”. Ma come non ricordare quella tonda che sempre (da anni e anni) nasce dall’esperienza di pizzeria e cucina (rosticceria?) campane che univa appunto sul disco rigorosamente di scuola napoletana una meraviglia golosa come la parmigiana di melanzane? Era un percorso più “istintivo” come direbbe il collega Luciano Pignataro ma se ha dato frutti come “Il Futuro di Marinara”, la pizza firmata da un grande come Francesco Martucci de I Masanielli a Caserta, un senso l’aveva. E forse indicava (e indica con Martucci) anche un’altra strada che può seguire la cucina per (o sulla o sopra o con) la pizza. “Quella pizza è la conoscenza profonda di un ingrediente preparato per la pizza - dice Martucci - Ma non tutto può andare sulla pizza. Io ci vedo bene il vegetale, con le sue sfaccettature, o il pesce. La mia idea è dare una esperienza di avanguardia in chiave popolare. Per me è fondamentale di provare sensazioni particolari ed evolute a un costo di 20 euro”. La Marinara di Francesco ha tre cotture: prima a vapore a 100°, poi fritta a 180° e quindi al forno a 370; il pomodorino corbarino è arrosto, poi fatto a crema: una semplicità amplificata dal sapore e dal trattamento del pomodoro che si unisce all’origano di Ischia, alle olive di Trapani, ai capperi di Salina, all’oliva caiazzana e al pesto di aglio orsino. “Noi, fino a 5 anni fa, in Campania non avremmo potuto proporre questo tipo di pizza. Oggi è diverso: la pizza si è aperta al mondo e anche i napoletani sono aperti. la pizza non è solo napoletana, è di tutti” sorride il pizzaiolo casertano.
Dalla cucina “nella” a quella “sulla” pizza
Sul tema della vicinanza pizza-cucina, non possiamo non andare a quella che fu una sorta di “rivoluzione” concettuale della pizza romana, la pizza bianca ripiena, condotta da Stefano Callegari con il suo Trapizzino: lui, ex steward appassionato di fornelli e di cucina è prima diventato un maestro di lieviti, poi è tornato ai suoi fornelli veraci, mettendo la cucina romana più vera (dal picchiapò alle polpette, dalla coda al pollo coi peperoni) in un triangolo aperto su un lato di pizza bianca. Una storia, questa del trapizzino, che nasce 12 anni fa nel romano quartiere di Testaccio, con il piccolo buco di pizza al taglio che si chiama 00100, il cap capitolino: da qui, nel 2013, Trapizzino diventa un marchio autonomo. “Non solo, ma a quei tempi, a parte la milza siciliana e il lampredotto fiorentino, non c’erano neppure panini con il cucinato dentro. Con il trapizzino, nasce la cucina romana dentro la pizza bianca: per questo ho dovuto creare un triangolo che facesse da tasca, ché altrimenti tutto usciva su tutti i lati” racconta Stefano. E spiega: “Quella che era una cucina quasi residuale, relegata a piccole e vecchie trattorie di Garbatella o Testaccio, è diventata una cucina non certo leggera ma sicuramente molto ben fatta, con ingredienti scelti ed erbe fresche, forse non proprio molto più digeribile ma decisamente più abbordabile a un pubblico non più abituato a quei piatti”. Un’esperienza, quella, che ha segnato molto la storia del rapporto tra pizza e cucina a Roma.
Il racconto continua nel mensile di settembre del Gambero Rosso anche con le testimonianze di Pier Daniele Seu, di RetroPizza, dei Bros' e il loro progetto Roots dove hanno deciso di puntare molto su pane e soprattutto pizza. E ancora di Vincenzo Mancino con la sua Dol (Di Origine Laziale), Gabriele Bonci e Gianni Di Lella (La Bufala a Maranello).
a cura di Sara Bonamini
foto di apertura di Andrea Di Lorenzo
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di settembre del Gambero Rosso trovate l'articolo completo con le biografie di tutti i pizzaioli protagonisti, le più interessanti insegne dove si incontrano pizza e cucina con mappa annessa, le 7 regole d'oro di come cucinare per la pizza e cosa ne pensano i critici Luciana Squadrilli, Luciano Pignataro, Albert Sapere, Tania Mauri e Vincenzo Pagano.
Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
Abbonamento qui