Chi è Jeong Kwan
Barugongyang, in coreano, è la cucina del tempio. E baru sono le quattro ciotole di legno che un monaco presenta in tavola ai suoi ospiti, con l'obiettivo di condividere il pasto, e così entrare in comunione con l'altro. Jeong Kwan ha più di 60 anni, ma è difficile attribuirle un'età. Un sorriso gentile le illumina il volto, anche quando è distante migliaia di chilometri dal suo tempio, tra le montagne dove sorge l'Eremo Chunjinam, nella Corea del Sud, a tre ore di macchina dalla capitale Seoul. La sua settimana in Italia è stata intensa: dopo Torino, dov'è atterrata per la Settimana della cultura coreana, chiuderà il suo tour a Roma per raccontare la cucina dei monaci buddhisti e le cerimonie legate alla condivisione del cibo di una tradizione millenaria, custodita all'interno dei templi. Gesticola molto, allo stesso tempo volitiva e pacata. E ti guarda sempre negli occhi, per stabilire un contatto che va ben oltre l'impossibilità di capire la sua lingua.
Una monaca che cucina
Jeong ha scelto la vita monacale in adolescenza, una puntata di Chef's Table a lei dedicata – che le ha dato la notorietà - ne ripercorre i ricordi di infanzia, la scomparsa precoce di sua madre, la scelta sofferta di non avere mai figli per non fargli provare lo stesso dolore dell'assenza. E con sé ha portato una dote per la cucina che, a memoria, ricorda di avere sempre avuto, sin dalla vita precedente “perché il mio rapporto con gli ingredienti si basa sull'istinto, quando ne vedo uno non ho bisogno di ragionare su come trattarlo. È tutto molto naturale e attiva la mia energia personale. Proprio come quando prego e medito”. Per questo, nella filosofia della cucina del tempio, preparazione del cibo e preghiera finiscono per corrispondersi, perché entrambi i processi veicolano gioia. Jeong però non è una cuoca, ma una monaca che cucina, “con lo spirito della madre” e con consapevolezza, per entrare in comunione con la natura che la circonda (nell'orto del tempio, dove i prodotti crescono spontaneamente nel bel mezzo di una vegetazione rigogliosa, Jeong passa molto tempo a prendersi cura dei suoi ingredienti): “L'atto della cucina fa sì che la comprensione dell'armonia naturale passi dal seme al piatto. Il mio cibo non ha ego, perché l'ego mortifica la creatività”. Eppure ha attirato l'attenzione di grandi chef, che la rispettano e ne traggono ispirazione. Come Eric Ripert, che della già citata puntata di Chef's Table è diventato narratore nel presentare al mondo una cucina che anni prima aveva avuto modo di conoscere personalmente al tempio, restandone stregato.
Barugongyang. La cucina del tempio
Ma tutti possono visitare Jeong e vivere per un paio di giorni con la sua comunità monastica, osservando le regole e gli orari del tempio e condividendo preghiera e pasti con loro, per apprendere le basi del Barugongyang (il calendario dei cosiddetti Templestay si consulta facilmente online, per pianificare un soggiorno in uno dei templi buddisti della Corea del Sud. Al programma aderisce anche il Baegyangsa, dove vive Jeong). La cucina del tempio è vegana e proibisce l'uso di 5 ingredienti che potrebbero turbare l'animo o distrarre il monaco dalla preghiera: cipolla, aglio, erba cipollina, cipollotti e porri. Fa uso di molte salse (quella di soia è regina) e spezie, di cui Jeong conosce ogni proprietà, come è vero per ogni prodotto che trasforma, prestando attenzione a maneggiarlo senza provocargli troppo dolore. La trasformazione dei prodotti stagionali, per evitare lo spreco, è una pratica fondamentale: così nasce il kimchi del tempio, nei vasi di terracotta interrati dove la verza fermenta lentamente. Ma anche l'essiccazione è un soluzione molto praticata. Il tempo, al tempio, si dilata. Anche in cucina il gesto conta più degli strumenti. E affascina chi guarda.
Con Jeong, abbiamo condiviso una riflessione sul cibo e la cucina, che riportiamo con le sue parole, individuando 9 concetti principali.
Comunione: La cucina non è prendersi cura degli altri, ma comunicazione. Ogni procedimento si costruisce insieme, il cuore di due persone si congiunge tramite il cibo, e così si instaura un rapporto tra loro. La comunione non è insegnare o curare un’altra persona, ma condividere qualcosa insieme, come l'atto del preparare e consumare cibo insieme.
Gioia: C’è gioia nel cucinare, quando si cucina non ci sono altri pensieri; ecco perché si cucina come si medita. Il metodo è lo stesso: si cucina in modo stabile, pulito, puro, come quando si medita.
Libertà: La cucina è libertà, ma nel rispetto delle regole. Se la natura di un ingrediente permette di tagliarlo in verticale, ma noi lo tagliamo in orizzontale, questo sentirà dolore, perché è un essere vivente. Dobbiamo rispettare le regole di ogni ingrediente. Io non uso molto il coltello e faccio quasi tutto a mano. Facendo tutto in modo naturale, cucino più liberamente.
Creatività: In base al pensiero e al comportamento di una persona un ingrediente può assumere aspetti infiniti. Per un pensiero sbagliato, un ingrediente può diventare uno scarto alimentare, o invece essere un’eccellenza se ben trattato. Questo è il risultato dell’energia personale di ciascuno, che è la sua creatività.
Tradizione: La cultura culinaria dei monasteri è millenaria, esistono cibi più tradizionali, ma non ricette fisse. Piuttosto si tramanda il sapere della natura: i monaci anziani mi hanno insegnato come crescono gli ingredienti, come si cucinano, come si devono trattare. In primavera crescono i germogli, andiamo insieme in montagna, osserviamo gli ingredienti; so come un prodotto deve essere colto, se si può mangiare, se ha veleni, se è preferibile bollirlo o essiccarlo al sole per l’inverno, se farlo fermentare. In questo senso parliamo di un modo tradizionale di trattare gli ingredienti. Le ricette attuali, invece, le ho pensate per l’insegnamento, che pratico da una decina d’anni, da quando il cibo templare si è fatto conoscere in tutto il mondo. Ma nella mia cucina seguo l'intuito, non utilizzo ricette.
Istinto: Credo di aver cucinato già prima di nascere, nella mia vita precedente, perché appena vedo un ingrediente non devo pensare a come cucinarlo; è un processo molto istintivo, si attiva la mia energia, creo un piatto nuovo che neanche conoscevo e uso questa dote per esprimermi.
Natura: Il mio ingrediente preferito è la stagione. Ogni stagione dà vita a ingredienti meravigliosi, quando ne vedo uno, questo mi riempie di gioia. Sono molto interessata alle culture culinarie diverse dalla mia: ovunque vado, cerco un mercato locale per scoprire gli ingredienti del posto, cerco di ricollegarli alla mia infanzia. Non amo molto mangiare, ma quando vedo un ingrediente questo attiva la voglia di cucinare. E ogni ingrediente, per me, è sempre nuovo, anche se è lo stesso, perché è espressione della natura che cambia: non avrà sempre lo stesso aspetto, non sarà statico (una cosa statica è morta). Ecco perché gni ingrediente è una nuova missione, un nuovo traguardo da raggiungere.
Rispetto: Prima di offrire un pasto ad altre persone cerco di capire chi è il destinatario, perché bisogna adattarsi a chi mangia (se sono anziani, bambini…). Questo atteggiamento consiste nell’andare incontro all’altra persona. Io che cucino ho una visione soggettiva di questo cibo, chi mangia ha una visione oggettiva. Queste esigenze devono incontrarsi al centro, in un punto che consiste nella condivisione del pasto.
Nutrimento: Appena mi alzo respiro aria, bevo l’acqua... Tutto questo è nutrirsi, non solo mangiare. Ma il cibo spesso è collegato all'avidità e desiderio umano: per far sì che il cibo non sia un elemento estraneo bisogna meditare molto, finché il cibo e il mio corpo diventino una cosa sola. Se noi viviamo per mangiare, o mangiamo per vivere non posso dirlo per gli altri. Ogni persona attraverso la meditazione deve capire per cosa stia mangiando, per cosa stia vivendo. Questo è il motivo per cui ognuno deve meditare.
a cura di Livia Montagnoli