Una bionda senza schiuma. La birra italiana vive un momento difficile, il primo semestre del 2023 registra per il settore un calo del valore condiviso del 3%, pari a circa 120 milioni di euro. Una frenata brusca, la prima dopo un biennio - quello seguito al Covid - decisamente positivo al culmine di quindici anni, in cui la bevanda al luppolo si è messa al centro del villaggio, sbarcando nell’alta ristorazione ed entrando nella socialità degli italiani. Nel 2022 la filiera della birra aveva per la prima volta superato la barriera psicologica dei 10 miliardi di euro di valore condiviso, 10,2 miliardi, con un aumento del 9,2% rispetto al già proficuo 2021 e segni positivi in tutte le voci: +4,1% in volume, +3,2% dell’Ho.Re.Ca, addirittura +8%di occupati, che sono 103mila.
Effetto moltiplicatore nella filiera brassicola
I dati sono contenuti nel settimo rapporto di Osservatorio Birra, realizzato da Athesis e focalizzato sulla “creazione di valore condiviso del settore”. Secondo lo studio, infatti, l’effetto moltiplicatore del valore, che cresce a ogni passaggio della filiera brassicola, vale anche al contrario: quando soffrono i produttori ne risente tutto il settore, che comprende agricoltura, trasformazione, produzione, logistica, trasporti, grande distribuzione e ristorazione. Anche perché gli stessi produttori, motore del movimento, trattengono soltanto l’1,3% dei 10,2 miliardi di valore condiviso. E quindi una crisi del settore non fa sorridere il Paese. Lo Stato, infatti, incassa 4 miliardi e 279 milioni di euro tra imposte, Iva e contributi sul reddito e sul lavoro. E le famiglie degli occupati nel settore ogni anno ricevono 2,8 miliardi di stipendi.
Espansione finita
Purtroppo, la stagione dell’espansione sembra ormai alla fine. L’annata 2022 è stato il canto del cigno di una fase fatta di sorrisi e numeri positivi, anche se già qualche crepa si intravedeva, ad esempio la crescita vertiginosa dei costi di produzione (materie prime ed energia lo scorso anno sono aumentati del 50 per cento anche a causa della guerra in Ucraina) e quella sostanziosa delle importazioni, con un preoccupante +9,9%.
Tasse pesanti
Il futuro è buio, anche perché dall’inizio del 2024 è previsto un nuovo aumento delle accise. Anche pochi centesimi in più significano erosione dei margini di profitto per il produttore e per l’esercente e aumento del prezzo per il consumatore, visto che si riverbera anche sull’imposta sul valore aggiunto. Si pensi che in una bottiglia da 66 cl venduta al supermercato l’accisa grava per il 40 per cento del prezzo di vendita. La birra è l’unica bevanda con questo fardello e il recente passato dimostra che una minore pressione fiscale sul produttore consente anche allo Stato di guadagnare di più: nel 2017-19 ha incassato un +27% di tasse rispetto al triennio precedente in seguito alla diminuzione dell’accisa.