Per l'industria alimentare italiana i primi nove mesi dell’anno sono stati i peggiori dal 2007 dal punto di vista di produzione, fatturato e consumi. Ma l'ultimo trimestre ha risollevato gli animi, con la tenuta dell'export e dei livelli occupazionali che, rispetto ad altri settori, fanno sperare in una inversione di tendenza già nel 2014. Per Federalimentare, che ha presentato oggi il suo bilancio, il 2013 dà la misura di un comparto ancora solido nonostante la crisi e pronto a sfruttare la ripresa dei mercati esteri. Nel 2013, la stima del fatturato è di 132 miliardi di euro (+1,5%) di cui 26,4 all'export (+7%). La produzione del settore (385mila occupati e quasi 6.900 aziende sopra i nove addetti) è calata di un ulteriore 1% sul 2012, ma è risalita di un punto percentuale in soli tre mesi, da ottobre a dicembre. Nel complesso, i livelli produttivi sono ancora sotto di 3,6 punti percentuali rispetto al 2007 (ante crisi). Mentre cresce del 4,5% il saldo import-export, pari a 7 miliardi di euro.
Ma a preoccupare sono i consumi. Secondo elaborazioni del Centro studi Federalimentare su dati Ismea-Gfk Eurisko di gennaio-novembre, il calo 2013 delle vendite alimentari è stato del -4% in termini di fatturato (a quota 207 miliardi) a valori costanti e del -2,1% in quantità. Si tratta delle discese più marcate degli ultimi anni, che fissano il calo dei consumi interni in circa 13 punti da inizio crisi. "I discount" fa notare Federalimentare "sono l’unico segmento Gdo in espansione negli ultimi anni. La perdita di 2,5 punti di valore aggiunto certifica che ormai la borsa della spesa degli italiani è più leggera ma anche di minore qualità".
È un alimentare che guarda oltre la crisi, secondo il presidente Filippo Ferrua Magliani, ma che non può essere messo a rischio da continue prese di posizione ideologiche: “I ripetuti attacchi sull’origine delle materie prime” ammonisce Ferrua senza nominare l'ultimo in ordine di tempo sull'olio italiano “negano la storia stessa del nostro Made in Italy, fatta di qualità e sicurezza. Questo settore può aiutare il Paese ad agganciare la ripresa, ma avrebbe bisogno di sostegni, non di attacchi che di fatto tolgono respiro al nostro rilancio”. Non solo: "Tasse e balzelli come l'aumento di Iva e delle accise su birre e distillati, minano l’immagine, la redditività e la competitività sui mercati globali".
Le prospettive per il 2014 indicano consumi interni di nuovo stazionari, una leggera ripresa della produzione (con incrementi inferiori all’1%) e l’accelerazione dell’export, che potrebbe crescere tra 8 e 10%. Il 2015, infine, dovrebbe finalmente ritrovare il segno più nei consumi alimentari, seppur con una variazione molto marginale (sull’ordine di qualche decimale di punto), mentre produzione ed export dovrebbero consolidare i tassi espansivi del 2014.
L'alimentare italiano, basato su qualità e ai primi posti in Europa per Dop riconosciute, vino compreso, guarda ai 200 milioni di nuovi ricchi in più previsti entro il 2018, che chiederanno prodotti “belli e ben fatti”. Le migliori attese, secondo Federalimentare, vengono dai centri urbani di mercati emergenti come Brasile, Russia, India e Cina, e dai MINT in via di affermazione (Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia). In questo senso, risulteranno strategici gli accordi Wto di Bali del 7 dicembre scorso, il semestre di presidenza italiano dell'Ue ed Expo 2015.
a cura di Gianluca Atzeni