Chi spreca di più. La maglia nera va ai giovani
Per qualcuno non sarà una grande sorpresa, ma chi vive lontano dalle città o in Paesi particolarmente sensibili al riciclo dei rifiuti urbani è molto meno incline a sprecare il cibo. Quindi se da un lato la cultura rurale – più in contatto con la dimensione naturale e memore dei tempi di magra – si fa portavoce della lotta allo spreco, dall’altro sono proprio le abitudini cittadine a influenzare i comportamenti meno virtuosi, soprattutto se parliamo di giovani uomini con capacità di reddito medio-alta. L’identikit del consumatore sprecone (almeno in Europa) l’hanno tracciato tre ricercatori italiani e oggi si leggono sulla rivista scientifica Food Policy. L’analisi è frutto di un’indagine effettuata nel 2013 nei Paesi membri dell’UE, ribattezzata Flash Eurobarometer; e i risultati puntano il dito sui maschi di età inferiore ai 65 anni che possono disporre di tutti quegli agi che ne influenzano una scarsa attenzione a gettare via il cibo in eccesso. E, inaspettatamente, in questa classifica dello spreco domestico e individuale la maglia nera spetta a Paesi notoriamente all’avanguardia come Danimarca, Svezia e Irlanda. Chi invece si dimostra più incline al riuso sono le donne e chi vive in situazioni di precarietà alla ricerca di un lavoro.
Lotta allo spreco. L’idea di un siciliano
Se la sensibilizzazione delle generazioni più giovani continua a giocare un ruolo determinante – mentre si moltiplicano in tutto il mondo le iniziative che promuovono la condivisione e il riciclo in cucina – è pur vero che all’alba del 2016 la piaga dello spreco alimentare produce ogni anno oltre 1,5 miliardi di tonnellate di cibo in eccesso che nessuno riutilizzerà, tra derrate rimaste invendute e spedite in discarica, alimenti che ammuffiscono nel frigorifero di casa e avanzi che dal piatto finiscono nella spazzatura. Con costi altissimi per tutti: in Italia la stima supera i 10 miliardi di euro. Come porre rimedio al problema? Una soluzione univoca non c’è, ma la necessità, si sa, aguzza l’ingegno. E allora ecco l’idea di Giuseppe Galatà, ingegnere-agricoltore siciliano alle prese con il progetto Save.
Save. La frutta in eccesso che diventa mangime
Una startup contro lo spreco che promette bene sin dal nome. Se proprio non è possibile consumare tutta la frutta e la verdura rimasta invenduta, perché non trasformarla in mangime per animali ricco di proteine da somministrare a vacche e vitelli d’allevamento? Il procedimento si avvale della tecnica dell’insilamento, che garantisce al cibo trattato e disidratato di restituire un prodotto migliore dei mangimi tradizionali, perché composto per il 18% da proteine. E il progetto è piaciuto tanto da convincere le università di Messina, Parma e Ferrara a collaborare per perfezionare il procedimento, così da rendere disponibile il brevetto per le realtà industriali (e la catena Despar si è già dimostrata interessata). Se lo sviluppo andrà a buon fine la lotta allo spreco potrà disporre a breve di un’altra freccia al suo arco.