Shiseido, non solo cosmesi
La storia del gruppo giapponese Shiseido, oggi colosso della cosmesi su scala mondiale, comincia nel 1872 a Ginza, elegante distretto di Tokyo. All'epoca, il farmacista Arinobu Fukuhara fondava la Shiseido Pharmacy conquistando nel giro di pochi decenni il mercato della bellezza nipponico con invenzioni “rivoluzionarie” come fard e fondotinta colorati (in Europa e in Italia il brand arriverà solo alla fine degli anni Sessanta). Ma in pochi sono a conoscenza del pallino del signor Fukuhara per la ristorazione: da più di un secolo, nel quartier generale di Ginza, accanto al palazzo della bellezza Shiseido, un edificio gemello ospita la cittadella del cibo della compagnia, lo Shiseido Parlour, riunendo un insieme di ristoranti originariamente ispirati alla cultura occidentale (celebre, nella prima metà del Novecento, il lavoro sulla gassosa conosciuta in Europa, e riproposta sul mercato giapponese sotto il marchio Shiseido), che col tempo hanno finito per diventare insegne di cucina locale, seppur contaminata da altre culture, proprio perché custodi di antiche ricette. Le mire espansionistiche del gruppo verso Occidente, insomma, all'inizio del XX secolo passarono attraverso il cibo (a proposito dei rapporti tra cosmesi e cibo, tempo fa raccontavamo la storia dei Laboratori Hur), e oggi tra i ristoranti Shiseido spicca il bistellato L'Osier, tavola devota all'alta cucina francese dal 1973. Analogamente, all'interno del Parlour, è nato Faro, ristorante di cucina italiana che da una settimana a questa parte si presenta ai commensali in veste rinnovata: nuovo look, nuovo chef e brigata di sala e cucina pronte a lavorare sul raggiungimento di obiettivi ambiziosi.
Frittelle di mais con lardo di Colonnata e polvere di gobbi fermentati
Kotaro Noda da Faro
Già particolarmente apprezzato in città – Tre Forchette a Tokyo per la guida Top Italian Restaurants, insieme a Luca Fantin e Heinz Beck Tokyo – il cambio al vertice del gruppo Shiseido ha portato la voglia di ripensare il ristorante per attrarre la clientela internazionale che gravita intorno a Ginza. Investimento da due milioni di euro, restyling degli spazi e cucina ridisegnata su indicazione del nuovo executive chef, che alle nostre latitudini non suona affatto come una new entry della ristorazione gourmet. Da Roma a Tokyo - e ritorno, considerando la spola continua tra le due città che lo attende per i prossimi mesi – Kotaro Noda ha il talento e l'esperienza giusta per sostenere l'impresa, lui che, dopo vent'anni trascorsi nel BelPaese, si sente quasi più italiano che giapponese. Dunque, è bene specificarlo, Kotaro non lascia la cucina di Bistrot 64, di cui nel frattempo è diventato anche socio, ma affianca all'impegno romano un nuovo progetto ambizioso: “Sono venuti a cercarmi, c'ho pensato a lungo prima di accettare, l'ho fatto quando ho capito che volevano puntare in alto. E in Giappone porto me stesso, la mia visione di cucina com'è maturata nel tempo, qualcosa che non è etichettabile con troppo rigore. C'è sicuramente molto dell'Italia, ma soprattutto molto di me: se avessi aperto lo stesso ristorante in Italia non sarebbe stato lo stesso”. D'altro canto anche Kotaro sa che il Giappone che ricordava non esiste più: “L'impatto con Tokyo è stato sorprendente. Tutto ciò che ricordavo è cambiato, ora la città sta investendo molto per crescere, tra due anni ospiterà le Olimpiadi, potremmo pensare a Tokyo come alla New York asiatica, arrivano da tutto il continente per visitarla”.
Prodotti locali, ispirazione italiana
Un contesto sicuramente stimolante per lavorare sulla qualità, considerando pure quanto le filiere produttive si siano evolute negli ultimi anni: “Un tempo era impensabile lavorare a Tokyo con zucchine, carciofi o ingredienti “occidentali” prodotti localmente. Oggi trovo moltissimi prodotti nelle campagne di tutto il Paese, circa il 95% del nostro approvvigionamento: viaggiano rapide e ci consentono di cambiare menu anche giornalmente, utilizzando i prodotti più freschi. Acquisto qui anche il grano e il riso Carnaroli, mentre dall'Italia faccio arrivare l'olio di oliva e ingredienti pregiati come il tartufo bianco, quand'è disponibile”. Il nuovo Faro è operativo dall'inizio di ottobre, ma il libro della prenotazioni è già sold out per i prossimi due mesi (le prenotazioni vengono aperte ogni bimestre): “Abbiamo pochi giapponesi, non sono abituati a questa cucina. Da noi arriva soprattutto clientela internazionale, e a quella vogliamo puntare”.
L'esperienza deve cominciare dall'ingresso in sala, “ho voluto che i colori e il design ricordassero le atmosfere mediterranee, e che lo stile non fosse eccessivamente lussuoso. L'impatto è molto diverso dal gusto locale, molti ristoranti qui sono al piano strada, si fa largo uso del nero... Noi però siamo al decimo piano, volevo fare della luce un punto di forza, schiarendo lo spazio con tonalità che spaziano dal bianco all'azzurro”.
Torta di fiori ed erbe aromatiche
La cucina di Faro
Ma cosa si mangia, ora, da Faro? “Facciamo una cucina fine dining e divertente, basata sui miei anni in Italia, ma molto diversa da quella del Bistrot. L'unico piatto che ho portato da Roma è il mio spaghetto di patate, perché molti lo chiedono ed è diventato un piatto bandiera. Però i punti di contatto finiscono qui, l'esperienza a Tokyo è completamente diversa”.
Dell'Italia ci sarà la pasta, “abbiamo comprato una trafilatrice per la nostra cucina”, e anche la brigata parla “italiano”: “Ho portato con me un sous chef giapponese con 7 anni di esperienza in Italia, arriva da Milano dalla cucina di Tokuyoshi. E anche la pasticcera, giapponese di nascita, ha lavorato per 20 anni tra l'Enoteca Pinchiorri, Bottura, il Seta al Mandarin Oriental di Milano”. Il direttore di sala, invece, è italiano, ma in questo continuo cambio di fronte, vive e lavora da molti anni a Tokyo.
Ravioli con calamari e kale
Menu unico, degustazione a mano libera dello chef, ma diverso dal pranzo alla cena: sui 60 euro il conto per il primo (e proposta 100% vegana), circa 170 la sera, quando la proposta diventa “super fine dining” riassume Kotaro, che per cena serve in sequenza 13 piatti, la prima parte giocata sui finger food. Una trentina i coperti, mise en place curata nel dettaglio, con piatti di grande impatto scenografico realizzati da artigiani giapponesi.
Kotaro lavora con la tranquillità di chi sa di poter gestire entrambe le situazioni: “Al Bistrot la situazione è stabile, mai mi sarei lanciato in una nuova avventura se non fosse così; quando anche a Tokyo avremo raggiunto un buon equilibrio allora potrò pensare di essere meno presente. Per ora sono in Giappone, ma ogni mese torno in Italia. E questa sfida mi dà molta energia”.
Faro – Tokyo Ginza Shiseido Building - https://faro.shiseido.co.jp/en/
a cura di Livia Montagnoli