«Il cibo non è e non può essere usato come arma». Parola di chi fa dell’alimentazione una mano tesa verso chi si ritrova solo in mezzo alla tragedia, in cerca di un piatto che tolga la fame dello stomaco, ma anche quella di un’umanità difficile da ricercare nei luoghi dove opera lo chef. La sua storia e la sua organizzazione World Central Kitchen (Wck) sono tornati tristemente agli onori della cronaca all’indomani dell’uccisione di sette suoi volontari, morti dopo un raid israeliano mentre consegnavano aiuti all’interno della Striscia di Gaza. Volontari che, riprendendo un altro passaggio dell’editoriale pubblicato da Andrés sul New York Times, erano «molto più che eroi», in quanto pronti a rischiare la vita per «la più fondamentale delle attività umane: condividere il cibo con gli altri».
Da El Bulli a New York: chi è José Andrés
Nato nelle Asturie spagnole il 13 luglio 1969, lo chef dimostra una predisposizione alla cucina e alla sua declinazione nel sostegno al prossimo già in tenera età: a quindici anni frequenta una scuola alberghiera a Barcellona e a diciotto completa il servizio di leva cucinando per un ammiraglio. Il primo impiego professionale è già ad alti livelli, presso «il più fantasioso generatore di alta cucina del pianeta», così il Guardian definiva El Bulli, il ristorante che sotto le egide di Ferran e Albert Adrià aveva guadagnato tre stelle Michelin e riconoscimenti internazionali per le sue innovazioni nell’ambito della cucina molecolare.
Andrés ci lavora per tre anni, poi la svolta: il trasferimento a New York ad appena 21 anni e con soli cinquanta dollari in tasca. Sono lontani, solo inizialmente, gli sfarzi di El Bulli. Lo chef si fa presto un nome e nel 1993, a tre anni dal suo arrivo negli States, viene assunto per dirigere la cucina di Jaleo, un ristorante di tapas che all’epoca aveva aperto il suo primo locale a Washington. È la consacrazione per Andrés, definito dal Washington Post pioniere degli small plates, che aiuta i proprietari ad espandere la catena Jaleo e nel frattempo introduce il minibar: una sorta di “ristorante dentro il ristorante” all’interno di uno dei locali Jaleo, il Cafe Atlantico. Sei posti appena, per assaggiare le creazioni più innovative dello chef; la voce si sparge e in poco tempo per strappare una prenotazione bisogna muoversi con almeno un mese di anticipo.
La nascita di World Central Kitchen
Andrés diventa anche profeta in patria, debuttando in televisione con il suo show culinario Vamos a Cocinar. In seguito pubblica libri, apre nuovi locali, e si piazza dietro alle cattedre universitarie così come dietro ai fornelli, riunendosi con il suo vecchio datore di lavoro Ferran Adrià in uno dei più prestigiosi tra gli atenei, Harvard, per tenere un corso di fisica culinaria. È il 2010, anno del tragico terremoto ad Haiti di magnitudo 7.0 che il 12 gennaio uccide centinaia di migliaia di persone provocando danni per più di otto miliardi di dollari. Il grido di aiuto degli haitiani è l’innesco per la creazione di Wck, che da Port-au-Prince, la capitale del Paese caraibico, arriva a toccare Paesi sparsi per il mondo affetti da catastrofi naturali: Zambia, Perù, Uganda, Repubblica Dominicana, solo per citarne alcuni, fino all’Ucraina e agli Stati Uniti nel periodo della pandemia.
Lo scontro con Trump
Proprio nel Paese che lo accolse appena ventunenne, Andrés arriva a scontrarsi nel 2016 con l’allora presidente Donald Trump. Sembra tutto pronto per l’inaugurazione di un suo ristorante presso il Trump International Hotel di Washington, quando alcuni commenti offensivi rivolti dal tycoon a migranti messicani entrati negli Stati Uniti senza documenti lo fanno desistere al punto da ritirarsi dall’accordo con la Trump Organization. La battaglia legale tra i due si conclude con un accordo un anno più tardi, nell’aprile del 2017. L’edificio viene venduto e riapre sotto il nuovo nome di Waldorf Astoria Washington D.C. nel giugno 2022. Qualche mese più tardi, Andrés riprende in mano il progetto originale e l’otto febbraio 2023 inaugura il locale, chiamato Bazaar.
I riconoscimenti culinari ed umanitari
«Noi [chef] nutriamo pochi, ma abbiamo l'opportunità di cambiare il mondo», diceva Andrés. E la comunità internazionale più volte gli ha riconosciuto l’avere spianato la strada al cambiamento. Ai riconoscimenti culinari si aggiungono quelli umanitari, dall’essere incluso per due volte (2012 e 2018) nella lista delle 100 persone più influenti al mondo da Time Magazine al vedersi appuntata la José the National Humanities Medal dal presidente Obama in persona nel 2015, fino alla candidatura al Nobel per la Pace. Una missione, un fuoco che la recente tragedia occorsa a Gaza difficilmente spegnerà. Quelle stesse fiamme che avevano cominciato ad ardere fin da bambino, quando nei boschi del nord della Spagna il papà di Andrés lo prendeva da parte per insegnarli la cottura perfetta della paella, da condividere poi con il resto della famiglia.