Lo spauracchio della Brexit
All’indomani del successo inaspettato della Brexit, che al termine di un lungo processo traghetterà la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea, ci interrogavamo (qui e qui) sulla sorte di chi, tra gli imprenditori di settore italiani, sul buon rapporto con il mercato anglosassone ha costruito la propria fortuna. Importatori, ristoratori espatriati in UK, aziende vinicole e tanti addetti ai lavori del comparto enogastronomico e agroalimentare intervistati a caldo per raccogliere umori e presagi. Spesso preoccupazioni dettate più dallo stordimento temporaneo e largamente condiviso, che dalla reale analisi dei fatti di una situazione piuttosto incerta, perché nuova. E infatti, se qualcuno aveva con frettoloso allarmismo previsto un dietrofront dell’imprenditoria made in Italy dal regno di Sua Maestà Elisabetta II, le vicissitudini dei mesi a seguire hanno rassicurato non poco gli animi. Un caso su tutti, tema caldo ed estremamente attuale, è stato il boom delle pizzerie tricolore a Londra, che si sta popolando di tante insegne storiche e personalità del mondo della pizza italiana, da Michele a Berberè, all’ultimo annuncio dell’insegna partenopea Trianon.
Jamie Oliver cede alla Brexit
E invece l’effetto Brexit – ma più che altro il conto che il valore della sterlina sta pagando al referendum dello scorso giugno – sembra essere stato fatale per Jamie Oliver, inglese doc ma particolarmente legato all’Italia e alla sua cucina, di cui si è fatto ambasciatore sul piccolo schermo come nelle scuole del Regno, e nei suoi numerosi ristoranti. “Acquistare i prodotti dall’Italia è sempre più oneroso, e noi che non vogliamo diminuire la qualità dei nostri locali non riusciamo più a sostenere lo sforzo”, ha riferito nei giorni scorsi l’ad del Jamie Oliver Restaurant Group al Telegraph. Risultato? Entro marzo ben 6 ristoranti della catena Jamie’s Italian chiuderanno i battenti, causa rincaro dei costi e calo della sterlina.
Jamie’s Italian. Il futuro della catena
Poca cosa se consideriamo che il gruppo guidato dalla chef star britannica conta 42 ristoranti solo in Gran Bretagna, e altre 28 insegne nel resto del mondo. Ma comunque una decisione che fa clamore, tenendo presente il coinvolgimento di ben 120 dipendenti che prestavano servizio nei locali interessati (due sono a Londra). E infatti dai vertici del gruppo sono già arrivate le prime rassicurazioni, che spostano l’attenzione sulle nuove aperture – ben 22 – in programma nel resto d’Europa (da Dusseldorf a Reykiavyk), che potrebbero accogliere le risorse da ricollocare, sempre sotto il brand Jamie’s Italian (fondato a Oxford nel 2008 per incontrare i gusti di tutta la famiglia: ambiente informale e prezzi modici, ricette italiane e ingredienti di qualità), che non sembra affatto destinato a morire, soprattutto fuori dai confini UK.
Le difficoltà economiche del gruppo. È tutta colpa della Brexit?
Tanto che i maligni ipotizzano motivazioni ben più prevedibili dietro alla decisione di chiudere i 6 locali inglesi: in patria l’insegna non sarebbe più in grado di sostenere la concorrenza agguerrita di nuovi competitor, come dimostra il calo netto degli incassi registrato tra il 2015 e il 2016, dai quasi 4 milioni di sterline di fatturato di due anni fa ai 2,3 milioni del 2016. E Jamie Oliver sa bene che per restare sulla cresta dell’onda l’ingranaggio deve girare alla perfezione: “I nostri ristoranti devono servire almeno tremila pasti alla settimana per essere sostenibili”, ha dichiarato l’ad Simon Blagden alla stampa inglese. Il problema dunque non sono le spese per le forniture bensì, a quanto pare, gli incassi che in alcune insegne dell’impero non sono all’altezza. E allora si chiude. Per quel motivo però e non per la quotazione della sterlina che in questi mesi soffre contro l’euro, certo, ma che comunque è agli stessi livelli di un anno come il 2013 ad esempio, durante il quale il gruppo dello chef britannico è cresciuto e ha prosperato.
Intanto però si guarda lontano. Il prossimo obiettivo dichiarato è l’Australia, dove Oliver ha appena riacquistato i diritti del marchio Jamie’s Italian che aveva ceduto. Insomma, che la Brexit non sia solo un convincente capro espiatorio per evitare di dire che alcuni locali, come è legittimo che accada, andavano malino?
a cura di Livia Montagnoli