La Fondazione Gambero Rosso, creata con lo scopo di dare attenzione e risalto ai temi di ordine sociale e della ricerca, porta avanti questa rubrica dedicata alle donne, non tanto perché crediamo nelle quote rosa ma perché è fondamentale parlare e sensibilizzare sulla parità di genere. Ed è altrettanto fondamentale farci portavoce di donne che hanno raggiunto importanti obiettivi nel proprio settore. Qui l'intervista ad Alessia Rizzetto, fondatrice dell’omonima agenzia di comunicazione specializzata nei settori food & beverage, ristorazione e ospitalità a Milano.
Intervista ad Alessia Rizzetto
Nella sua esperienza lavorativa quali sono stati – se ce ne sono stati - gli ostacoli che lei ha dovuto affrontare in quanto donna?
Ho iniziato a fare questo lavoro nel 2013. All’epoca eravamo in pochi a occuparci di comunicazione nel food & beverage, era un mondo pressoché maschile e maschilista, in cui le donne dovevano sgomitare più che mai per raggiungere i traguardi desiderati. È capitato che venissi presa con “leggerezza”, vuoi per la mia giovane età, vuoi per il mio aspetto, ma è bastato dimostrare serietà e professionalità - con costanza e tanta determinazione - per far sì che immotivati preconcetti nei confronti dell’universo femminile cadessero e lasciassero spazio a stima e ammirazione, soprattutto da parte degli interlocutori maschili.
Nel suo attuale ruolo quali leve gestionali sta utilizzando per facilitare il mondo femminile?
Io credo molto nel genere femminile, soprattutto dopo essere diventata madre, quando ho realizzato come il corpo umano sia in grado di adattarsi e tirare fuori energia e qualità che uno nemmeno lontanamente pensava di avere. Credo nell’abilità femminile di organizzarsi, di risolvere i problemi e di poter gestire più situazioni in contemporanea. Nel nostro team, per poter facilitare il mondo femminile, cerco di garantire flessibilità nei tempi e nei modi di lavoro; c’è molta comprensione ed empatia di fronte alle richieste che quotidianamente riceviamo. Questo permette a chi lavora di poter prenotare una visita o un appuntamento che esuli dal lavoro senza doversi sentire giudicato, ma supportato. Al momento nel nostro team siamo solo in due a essere madri ma crediamo in un gruppo composto da persone che sappiano conciliare vita privata e lavorativa senza sacrificare per forza l’una o l’altra. Per noi il fatto di essere o di poter diventare madri, o semplicemente di potersi prendere cura del prossimo, è un valore aggiunto enorme che non scalfisce la qualità del lavoro svolto da una risorsa motivata e appassionata del proprio lavoro.
Quali proposte o modifiche proporrebbe alle autorità di governo per accelerare il raggiungimento della parità?
Credo che il primo traguardo per il raggiungimento della parità potrebbe consistere nel supportare i liberi professionisti - e non solo - nel momento in cui la famiglia si allarga. È un momento di grande stress emotivo e fisico per noi donne che purtroppo non viene preso in considerazione, anzi, ci si aspetta che tutto torni “come prima” nel giro di poche settimane. Noi donne siamo in grado di fare cose straordinarie, ma se davvero vogliamo progredire a livello sociale e culturale, allora va tenuta in considerazione la delicatezza di un momento come questo, supportando in maniera adeguata il nuovo percorso genitoriale e, perché no, garantendo un congedo di paternità che faccia sentire meno sola la donna, concesso in molti Paesi, può essere un altro modo utile per supportare il mondo femminile. Credo infine sia necessario un profondo cambiamento all’interno della classe politica. Vorrei sentirmi rappresentata da figure che abbiano esperienza reale del settore di cui si fanno garanti, da persone che si meritino effettivamente la carica che ricoprono, che siano simbolo del ricambio generazionale. Personaggi in cui potermi identificare, in grado di innescare nel prossimo un senso di fiducia tale da volergli affidare in maniera convinta e consapevole la guida di un Paese. Altrettanto utile sarebbe un supporto economico per le donne che non possono permettersi di “stare a casa” e sono costrette a mandare i propri figli (ancora neonati) al nido, spendendo gran parte del proprio stipendio in asili nido e babysitter.
Quali modalità e quali formule suggerisce per sensibilizzare e rendere consapevole il mondo maschile di questo gap? Un gap che, peraltro, ha conseguenze anche sul Pil.
Credo che non se ne parli mai abbastanza, che molti personaggi maschili non abbiano la benché minima idea di come funzioni l’universo femminile. Credo che dovremmo passare a un sistema più meritocratico che premi le figure imprenditoriali/lavorative in base ai risultati che portano, senza discriminare nessuno in base al sesso, all’età, all’orientamento sessuale. Siamo ancora in un Paese molto bigotto che si nutre di un pensiero radicato nel passato, quando dovrebbe guardare al futuro e prendere spunto da altri Paesi del Nord Europa sia per innovazione che per flessibilità organizzativa.
Ci racconti un aneddoto (positivo o negativo) di una delle sue esperienze sul tema.
Mi ricordo quando rimasi incinta della mia prima figlia, a livello lavorativo mi sentivo quasi in “difetto”. Non sapevo cosa mi aspettasse. Temevo di deludere i clienti, ho addirittura pensato che qualcuno di loro avrebbe rescisso il contratto per via di questa “novità”. In realtà nulla di tutto ciò è accaduto. Ho lavorato fino al giorno del parto, nonostante il cesareo e il dolore fisico che mi piegava letteralmente a metà avevo voglia di tornare a lavorare, e così ho fatto. A due giorni dal parto ero al computer a portare avanti i progetti dell’agenzia insieme al mio team, ho seguito il mio cuore e lo stesso anno il fatturato è raddoppiato.