Resteremo senza olio extravergine d'oliva, l'oro verde italiano, prima della nuova campagna olearia? Il rischio è reale. Pochi giorni fa Assitol, Associazione Italiana dell'Industria Olearia, ha rilanciato l'allarme: manca il prodotto, la siccità prima e i fenomeni di meteo estremo poi, hanno segnato in negativo la produzione. Stessa situazione della Spagna, primo produttore mondiale di olio d'oliva. E già si registra un aumento dei prezzi dell'olio, sia all'ingrosso che nella produzione artigianale. Il settore è in crisi, insomma. E le cause sono diverse, da cercare nel progressivo abbandono della coltivazione e nella mancanza di ammodernamento. Una combinazione tanto più esplosiva se alla lista si aggiunge il rischio di una nuova annata condizionata dall'imprevedibilità del clima eccezionalmente freddo e piovoso delle ultime settimane.
L'impatto del meteo negli olivi
Succede che, stimolate dal sole benefico delle prime calde giornate primaverili, le piante di olivo siano adesso pronte per la fioritura. È il momento cruciale dell'impollinazione e allegagione. Impollinazione che nell'olivo è indotta dal vento e non va d'accordo con il clima umido e piovoso delle settimane appena trascorse: il polline appesantito e dilavato finisce sul terreno e non feconda la pianta. E secondo le ultime proiezioni meteo la pioggia sarebbe di nuovo in agguato.
“Tutto si gioca nell'arco dei prossimi quindici giorni, solo un colpo di fortuna può salvarci, il bel tempo nell'immediato periodo sarà provvidenziale affinchè tutto possa andare a buon fine” spiega Tommaso Masciantonio dal suo campo-osservatorio in quota, ai piedi della Maiella geoparco Unesco. Masciantonio, abruzzese di Casoli, è agronomo, agricoltore custode, produttore di olio e vino, autore di extravergini di eccellenza assoluta e riscopritore di varietà di olivo cosiddette minori, autoctone e tipiche dell'altopiano tra Casoli e Guardiagrele (in provincia di Chieti) come il Crognale e l'Intosso di Casoli, una nicchia nella produzione regionale che è valso agli olio del suo Trappéto di Caprafico le Tre Foglie, massimo riconoscimento della guida Oli d'Italia del Gambero Rosso, il podio nelle ultime edizioni del Sol d'Oro di Verona e altri prestigiosi riconoscimenti. Il produttore abruzzese si dice seriamente preoccupato mentre scruta il cielo terso di primavera.
Masciantonio, cosa la preoccupa di più?
Le piante di olivo sono in fioritura, i fiori si stanno aprendo, il potenziale c'è, è un momento cruciale per la produzione. Se il clima in questi giorni gioca a sfavore, la produzione può essere ridotta drasticamente. L'olivo ha un'impollinazione particolare, anemofila, i fiori dell'olivo non sono in grado di autofecondarsi: è il vento che trasporta il polline da una pianta all'altra nella quasi totalità dei casi. Con un clima umido questo non accade perché il polline inumidito e appesantito viene dilavato, finisce a terra e non feconda la pianta: il peggio del peggio.
Per l'intanto si registra bel tempo, soleggiato e ventilato
Un fattore che velocizzerà l'apertura dei fiori, sarà come schiacciare l'acceleratore. Poi però sarebbero previste nuove piogge, si rischia grosso ovunque. Solo un colpo di fortuna può salvarci, il bel tempo nei prossimi giorni sarà provvidenziale. Se all'apertura dei primi fiorellini le temperature tornano a scendere, per la pianta è come mollare il freno. Per mantenere il fiore vivo ci sarà bisogno di nutrimento, sole e leggero venticello, le radici non dovranno ritrovarsi immerse nell'acqua. La pianta dell'olivo richiede un clima consono alla sua natura mediterranea per poter svolgere le fasi fenologiche.
Il rischio climatico incombe anche sulla produzione globale?
Non si prevede abbondanza a livello mondiale, speriamo che l'Italia rientri nella normalità degli standard produttivi ma è ancora prematuro parlarne; tutto si gioca nei prossimi giorni.
Quella passata è stata un'annata sconfortante per qualità e quantità delle olive con punte fino a meno 50% di produzione in alcune aree, per conseguenza i prezzi di mercato sono aumentati. Una tendenza destinata a confermarsi con l'imprevedibilità della stagione in corso?
Mancando una grande scorta a livello mondiale, i prezzi tenderanno a salire. Lo stiamo già vedendo soprattutto sui prodotti da scaffale, è la legge di mercato: a fronte di una domanda sostenuta e di un'offerta che scarseggia i prezzi aumentano. Nel caso dell'olio di produzione artigianale, però, gli aumenti sono dettati anche da altre ragioni. Qui l'impennata è legata ai maggiori costi di produzione e gestione dei campi, ai rincari del costo dell'energia e del packaging. Voci che incidono di più a fronte di un raccolto più scarso dallo stesso numero di piante.
Che possibilità ci sono di uscire da questa spirale involutiva?
Puntare almeno all'autosufficienza per non essere in balìa delle oscillazioni. In linea generale l'Italia non avrà abbastanza olio di produzione propria né di quantità acquistate all'estero, rischiamo di arrivare alla nuova campagna impiccati.
Sta dicendo che non c'è olio?
Esatto: l'Italia non è autosufficiente per produzione, bisogna puntare sul desiderio di tornare a essere protagonisti del mercato olivicolo, tornare a essere un Paese produttivo. In realtà le stime indicano anno dopo anno un passo indietro per via dell'abbandono dell'agricoltura, la frammentazione delle strutture produttive, il mancato ammodernamento del settore, fatta eccezione per poche realtà di grande qualità.
Da un lato l'allerta tra gli olivicoltori, dall'altra la preoccupazione dei consumatori di nuovi rincari dei prezzi di vendita. Che rischio corre l'olio evo, il principe indiscusso della Dieta Mediterranea?
Ora più che mai è necessario fare appello al senso di responsabilità da parte di tutta la filiera. Quello del meteo estremo è un problema tragico che investe tutta l'agricoltura e ha conseguenze sulla disponibilità futura dei prodotti. Si sta verificando una concomitanza negativa di fattori. L'anno passato al momento della fioritura dell'olivo, il vento caldissimo ha bruciato i fiori, quest'anno succede l'opposto, uno stress per le piante, il terreno è ormai saturo, non ce la fa ad assorbire le piogge torrenziali e le coltivazioni vanno sott'acqua. L'olivo resiste alle basse temperature e alla siccità ma non ama le escursioni termiche né le situazioni estreme né il passaggio repentino dal caldo al freddo. Anche per gli esseri umani è così. Qui da noi in quota sulle Piane di Caprafico siamo avvantaggiati: il ristagno idrico è inesistente o minimo. Ma rappresentiamo una nicchia, il nostro areale è insignificante a livello globale, minuscolo a livello nazionale e il rischio per l'allegagione è lo stesso ovunque.
Le previsioni per il futuro dell'olivicoltura non sono incoraggianti
L'uomo non ha pensato al futuro. Almeno, dico, avrebbe dovuto preoccuparsi di selezionare il meglio all'interno di una popolazione di ecotipi autoctoni: osservare il campo e scegliere. Lavoro che ha fatto solo l'agricoltore nella sua semplicità, propagando l'albero che più gli piaceva per bellezza o per bontà dei frutti, per avere il meglio insomma. Tutte le piante di Intosso su Piano Laroma qui dove ci troviamo, non sono perfettamente identiche l'una all'altra. C'è variabilità tra pianta e pianta, come tra gli uomini esistono biondi o castani, sfumature di tipo estetico ma anche morfologiche nel caso di individui più produttivi o meno. La variabilità è molto importante perché permette di poter scegliere. Ma non dobbiamo perdere la memoria storica. Possiamo però scegliere per il meglio. Con un approccio scientifico si sarebbe potuto ottenere molto di più in termini di adattamento e resistenza della pianta, con maggiore probabilità di successo nella risoluzione di un problema come quello climatico che ci troviamo ad affrontare.
Quale è stato l'errore maggiore?
Punterei il dito contro chi non ha fatto nulla per il miglioramento genetico dell'olivo, nessuno mai si è preso la briga di approfondire lo studio di una popolazione varietale.
Quanto è importante il recupero delle cultivar tradizionali?
Il recupero delle varietà tradizionali nei territori d'origine serve a coltivare una biodiversità unica e preziosa, serve a rispettarla e potenziarla per ottenere migliori risultati qualitativi, meno chimica, più redditività. La stessa cultivar in terreni diversi ha andamenti diversi, questo è scientificamente provato.
Ci spieghi meglio
Sul fondovalle, ad esempio, qualsiasi pianta d'olivo non accumula gli stessi polifenoli. Occorre lasciar fare alla Natura. Replicare altrove la selezione terreno-clima-varietà è operazione ardua. La ricerca dovrebbe raccogliere questa eredità e lavorarci su, come con i cru del vino, incentivare nuovi impianti di cultivar tradizionali piuttosto che progettare nuove varietà. Non dobbiamo inventarci nulla, solo curare e difendere quello che abbiamo, e migliorarlo geneticamente, selezionare gli individui più resistenti, è in concetto dell'evoluzione della specie per cui man mano si eliminano i più deboli, restano i più forti. Quello dell’olio è un mondo altrettanto complesso - se non di più – del vino grazie alla ricchezza di varietà autoctone di olive. Eppure non si è mai puntato sull'olivicoltura nazionale, c'è poco interesse forse per scarse aspettative economiche. Nei programmi istituzionali la promozione dell’olio è un passo indietro rispetto al vino dove invece la ricerca varietale è all'ennesima potenza, ad esempio esistono oltre dodici cloni di Montepulciano d'Abruzzo e si perde quasi la memoria di quanti cloni di Chardonnay, tutte varianti di una stessa varietà per produrre più qualità, più colore, più zuccheri, maggiore resistenza agli stress idrici e climatici.
La risposta ai problemi sembrerebbe la più semplice: assecondare la natura, difendere l'esistente. È troppo tardi?
Non è mai troppo tardi, siamo in tempo per iniziare.