Lo chef che ha fissato Viterbo nella cartina geografica delle città gourmet è Danilo Ciavattini che, con l’omonimo locale, permette ai clienti di provare piatti tipici del territorio ripensati in chiave moderna. Danilo, nato in piena Tuscia, a Soriano nel Cimino, non poteva non valorizzare la sua terra con quella che, nel corso degli anni, è diventata la sua cucina. La somma è presto fatta, un risultato gastronomico che poggia sulla tradizione di uno dei centri storicamente e culturalmente più ricchi d’Italia. Danilo ci ha aperto le porte del suo ristorante e ha spiegato ad Alessandro Creta (allievo del Master in Giornalismo Comunicazione e Critica Enogastronomica del Gambero Rosso) la sua cucina dove la creatività incontra territorialità e tradizione.
Molti chef hanno girato il mondo trovando la propria realizzazione lontano dalle loro terre d’origine. Lei ha viaggiato molto ma ha deciso di tornare a casa sua…
Sicuramente perché, prima di tutto, sono affezionato a questa terra e alla mia città. Il mio viaggio di formazione è stato orientato pensando a un ritorno in quella che è casa mia. L’obiettivo è sempre stato quello: andare in giro per il mondo ma poi tornare qui, nella terra che amo. In questo non ho mai avuto dubbi.
Molti suoi piatti prendono spunto dalla tradizione povera della gastronomia del territorio. Su tutti, forse, l’acqua cotta è il più legato al viterbese. Come si riesce a rendere un piatto umile il centro di un menù gourmet?
Come esempio l’acqua cotta è perfetta. Non è un piatto che può essere soggetto a molte interpretazioni sia negli ingredienti che nella preparazione, non permette di muoverti molto.
Ho capito che la vera forza di un ristorante è legata alla territorialità e alla cultura del cibo del luogo, il miglior modo per capire un posto è magiare i piatti, che nascono in funzione di quello che è il territorio d’origine. L’acqua cotta ha una storia contadina ma la tradizione non deve essere considerata un vincolo che ti costringe, è solo il legame che ti conduce al territorio. Poi puoi spaziare con l’innovazione e la tecnica. Se un piatto regge nel tempo è perché è valido, buono e apprezzato.
Il pubblico sembra sempre più in cerca di sapori e proposte esotiche. Lei invece si è affermato nel suo territorio con i suoi sapori. È stato difficile far scoprire alla gente una nuova versione di piatti tipici?
Non faccio una cucina a km zero solo per utilizzare un prodotto locale che magari non mi piace. La mia è una cucina di ricerca del territorio, non ho mai voluto inserire nel menù piatti dai nomi altisonanti che appartengono ad altre culture, non li sento miei e non lo reputo giusto per la terra stessa.
L’idea di cucina cambia col passare degli anni?
Quando ho viaggiato, ho creduto che quel che imparavo l’avrei riportato a casa. In fin dei conti è così: tutto serve per perfezionare la propria idea di cucina ma è fondamentale non farsi influenzare troppo per non snaturarsi e mantenere forte il legame col territorio. Le mie esperienze fuori mi hanno permesso di capire maggiormente il luogo da cui vengo, di vederlo da un’altra prospettiva e capire realmente la ricchezza gastronomica della Tuscia.
Le numerose trasmissioni a tema gastronomico hanno reso più democratica e popolare l’alta cucina che, fino a qualche anno fa, era di interesse solo di una nicchia?
Per me, l’hanno fatta conoscere meglio: una volta che una cosa entra in tv è normale che diventi più popolare. Poi, chi vuole capire di più, cerca di approfondire. Per l’alta cucina vale lo stesso discorso.
L’aspetto estetico, oggi, è allo stesso livello di quello legato al gusto?
È un discorso vasto e importante. Oggi c’è molta attenzione più al lato estetico del piatto che a quello del gusto. Il ragionamento del gusto compromette alcune cose, in fase di preparazione del piatto, e viceversa. Magari per conservare certi colori, certe sfumature di un prodotto di “sacrifica” il giusto modo di cucinarlo. Insomma: o si va dietro al sapore o dietro all’estetica, è chiaro che tutti vorrebbero sempre il bello e buono, io ho sempre preferito ricercare la massima espressione gustativa.
Cosa cambia nella cucina e nella mente dello chef con l’arrivo di importanti riconoscimenti come possono essere le Due Forchette?
Da quando il ristorante è entrato nelle guide più importanti abbiamo avuto un aumento notevole delle prenotazioni. È stato un fatto molto positivo, certamente. Invece per quanto riguarda la concezione della cucina è importante mantenere la coerenza, perché è grazie a quella linea di pensiero che questi riconoscimenti arrivano.
È cambiata anche la clientela?
Quando ho aperto il Danilo Ciavattini Ristorante, avevo l’obiettivo di cucinare per la gente del luogo, sapevo che dovevo indirizzarmi verso di loro. La base è stata quella e ho avuto un riscontro positivo: ci sono molti clienti della zona. Poi, ovviamente, man mano che il ristorante cresce inizia a variare anche la clientela, con turisti o gente di passaggio.
Uno chef, per ideare i suoi piatti, parte da ciò che pensa possa piacere alla gente oppure dai propri gusti personali?
A me piace lavorare con quello a cui sono affezionato, quindi lavoro in base al mio gusto e cerco di presentare il piatto in modo più fedele possibile alla mia idea di cucina.
Danilo Ciavattini Ristorante – Viterbo - Via delle Fabbriche, 20/22 - 0761 333767 - https://www.danilociavattini.com/
a cura di Alessandro Creta
Allievo del Master in Giornalismo Comunicazione e Critica Enogastronomica del Gambero Rosso