Da Vittorio Shanghai (il primo dei due locali della famiglia Cerea in Cina) è il Ristorante dell’Anno per la guida Top Italian Restaurants 2021. Il merito è soprattutto dello chef Stefano Bacchelli, 33 anni, originario di Massa, che ha saputo traghettare lo stile della casa, mettendoci tanto di suo, a partire dall’interpretazione dei prodotti e gusti locali. Perché l’esportazione tout court, lo dicono le tantissime chiusure di questi anni, è la via più rapida per chiudere baracca.
Com’è stato il primo impatto?
Non facile, ero abituato a determinate materie prime, c’è stato un po’ di sconforto e spavento. Poi con tanta ricerca abbiamo trovato ottimi prodotti sia locali che importati. Mi sono appassionato molto, hanno una grandissima cultura sui prodotti secchi e fermentati.
Con i prodotti di stagione, invece?
Le stagioni sono completamente diverse, qui i porcini si trovano da metà maggio ad agosto. Io lavoro ormai da 10 anni con i fratelli Cerea, conosco bene la loro filosofia, la valorizzazione dell’ingrediente.
E quanto avete cambiato dall’apertura?
Siamo arrivati con dei menu preparati, poi abbiamo cambiato tanto. Ho libertà e fiducia, non un manuale da portare avanti, c’è un sano confronto perché devo capire il mercato e andare oltre. Abbiamo lavorato tanto, studiato le preferenze dei clienti, mantenendo gusto e ricetta della casa madre. Ad esempio non trovavamo le trippe di baccalà per le linguine all’amatripesce, le abbiamo sostituite con il fish maw (la vescica essiccata di pesci come lo yellow croaker), qui considerato tra le più grandi prelibatezze del mare.
Com’è la situazione nei ristoranti di Shanghai?
Qui non c’è mai stata una seconda ondata, l’estate è stata tranquilla, stiamo andando forte: da metà maggio siamo sempre sold out. Le restrizioni sono solo la mascherina obbligatoria per chi opera nei ristoranti e in alcuni luoghi pubblici.
Che tipo di pubblico è?
Si procede a pieno ritmo, la clientela è pronta a sperimentare, ci sono tantissimi ragazzi che hanno viaggiato, studiato magari in America o in Australia e poi sono tornati. Conoscono i migliori fine dining del mondo e sono abituati a spendere di più per un’esperienza. Ora il cinese sta vivendo la città in maniera diversa, invece di viaggiare si regala una grande cena, spende in Cina quello che investiva fuori. L’economia è in fase di boom, il reparto fashion ha triplicato gli incassi. Il virus ha portato a un exploit del business interno.
Ci racconti qualche piatto nato dalla contaminazione?
Da luglio abbiamo introdotto insieme al menu dei classici Da Vittorio anche un menu carta bianca da 14 portate con ricette nuove ideate qui: ha avuto un grande successo nonostante il prezzo importante.
Poi avete vinto una scommessa...
Sì, con l’anatra. Mi davano del pazzo, ma abbiamo aggiunto un tocco italiano. Abbiamo acquistato un frigorifero ventilato ad hoc per asciugarla, secondo il primo step della tecnica cinese, poi abbiamo cambiato la cottura, non laccata, ma con la crosta croccante e succulenta al suo interno, una cottura rosa, mentre solitamente la pechinese è piuttosto asciutta. L’abbiamo chiamata double duck, prima serviamo il petto e poi facciamo arrivare i tortellini in brodo con la farcia delle cosce dell’anatra. Qui amano il brodo e hanno apprezzato tantissimo. Poi, il kinky fish, un pesce che viene affumicato davanti al cliente e in abbinamento serviamo un tè cinese dai toni fumé come il Lapsang, seguendo la loro cultura.
Immagina un italiano in arrivo a Shanghai. Vuole fare delle esperienze gastronomiche vere, dove lo porti?
Intanto, da Xin Rong Ji, ha 3 locali a Shanghai. Fanno una cucina squisitamente di pesce con materia prima eccezionale. La casa madre è a Taizhou, cittadina che ha una straordinaria cultura marinara, l’ho visitata recentemente. Poi, consiglierei Fu He Hui, ristorante vegetariano con una stella Michelin che propone un percorso bellissimo sia come presentazione che come valorizzazione del prodotto, fresco e stagionale, con ottimi abbinamenti a base di tè.
Invece qualcosa di esotico?
Da non perdere Tianji, un ristorante giapponese che fa solo tempura. Solo 8 posti, lo chef non parla una parola di cinese o inglese, prepara un menu di 24 assaggi per una tempura leggerissima, utilizza soprattutto verdure e prodotti del territorio giapponese: una vera esperienza. In città c’è grande fermento, tanti locali stanno aprendo, portando alla ribalta chef che avevano fatto esperienze in cucine importanti come Odette a Singapore o Chef’s Table a New York e ora cercano un loro percorso.
Da Vittorio – Shanghai - 600 Zhongshan Road East No.2 - 3rd floor, N3 Building - +86 21 63302198 - [email protected]
a cura di Lorenzo Ruggeri