Nella recente classifica dei The World's 50 Best Restaurants ci sono molte sorprese e molti spunti di riflessione interessanti, dalla dominazione Danese che vede i due primi posti assegnati a Copenaghen, fino ad arrivare alla sorpresa italiana Lido 84. Ma al pari di tutte le sorprese c’è una certezza capace di essere notizia solo per la sua straordinaria capacità di non sorprendere più: il Perù ancora una volta si conferma tra le grandi mete mondiali per gli amanti del Fine Dining, capace non solo di presenziare in maniera importante in classifica con tre ristoranti nella classifica dei 100 ma di piazzarne due all’interno dei primi 10 (Central di Virgilio Martinez al quarto posto e Maido di Micha Tsumura al settimo) della classifica e il premio speciale assegnato a Pía Léon come Best Female chef.
Ma come ha fatto questo lontano paese andino a farsi riconoscere come “World's Leading Culinary Destination” dei World Travel Awards per otto anni di fila (fino al 2019, nel 2020 il record è stato interrotto proprio dall’Italia), a scalare tutte le classifiche internazionali della ristorazione in pochi anni? Per capirne di più del “fenomeno Perù” ne abbiamo parlato con l’Ambasciatore in Italia Eduardo Martinetti, che ci ha raccontato com’è evoluta la cultura del cibo nel paese sud americano
Ambasciatore dove affonda le radici questo rinascimento della cucina peruviana?
Nonostante il ruolo che oggi il mio paese ricopre a livello internazionale, questa tradizione è relativamente recente. Per molti anni infatti il concetto di mangiare “bene” andava di pari passo con il concetto di mangiare “molto”, e forse l’attenzione alla qualità era minore a quella che c’è oggi. Ad esempio, nelle grandi città per molto tempo erano di gran moda i ristoranti cinesi, celebri per il rapporto quantità-prezzo molto conveniente. Ma poi abbiamo cominciato a riscoprire la cucina autoctona, prima tra le mura domestiche e solo per il piacere della convivialità, ma in breve tempo questa passione si è ritagliata anche un ruolo di simbolico molto forte.
In che senso? Come la cucina ha potuto assumere un ruolo sociale nel Paese?
Innanzi tutto la crescente attenzione per la gastronomia ha avuto un ruolo di “equalizzatore sociale”: davanti ai fornelli c’è pura meritocrazia, avanza chi ha talento, che venga da una famiglia umile o benestante. Al contempo è anche stato campo di scambio sociale tra lavori storicamente vissuti come “da uomo” o “da donna”: abbiamo assistito ad un abbandono degli stereotipi, finanche ad un inversione di ruoli.
E poi?
In secondo luogo questa riscoperta ha avuto per noi anche un valore storico, una sorta di catarsi nei confronti della nostra cultura antecedente. È come se cucinare fosse diventato sinonimo della volontà collettiva di riscoprire la nostra eredità precolombiana, di cui siamo molto fieri. Il nostro popolo infatti, nei millenni precedenti all’arrivo degli europei ha addomesticato animali e piante che a tutt’oggi sono alla base della cucina mondiale (come ad esempio la patata), ha costruito città meravigliose e ha condotto studi avanzatissimi nel campo dell’astronomia. Ma se per comprendere queste ultime bisogna studiare anni e andare a visitare luoghi lontani come Machu Pichu, quei sapori antichi sono democratici, e possono essere fatti tornare alla vita da chiunque in qualsiasi luogo.
La cucina peruviana è cresciuta molto in patria, ma al contempo è diventata anche un simbolo del paese all’estero…
Assolutamente. Molti nostri concittadini che si sono spostati a vivere in Italia, ad esempio, hanno aperto qui ristoranti frequentati tanto dai peruviani quanto dagli italiani. Diciamo che per noi è motivo d’orgoglio sapere che la nostra cucina sia apprezzata in tutte le sfumature, e a prescindere dai gusti locali risulti sempre comprensibile. Non scordiamoci che a fianco della cucina blasonata ci sono tanti ristoranti tradizionali che lavorano nel segno della qualità.
Muovendoci tra la cucina quotidiana a quella Fine Dining, cosa ha reso il Perù così competitivo?
Innanzitutto la nostra biodiversità interna e la ricchezza di materie prime. Il nostro paese ha una conformazione “verticale”, che parte dal fondo dei mari e arriva sulla cima delle montagne. Ciò fa sì che possiamo spaziare tra pesci, molluschi, piante e tuberi estremamente diversi a seconda della zona (e dell’altitudine) di provenienza. Al contempo la mancanza di grandi praterie e di grandi fiumi ci ha insegnato il ruolo della scarsità, e l’arte di valorizzare quello che si ha. Piatti tipici come il Ceviche o il Lomo Saltado sono proprio figli di ciò. E poi c'è il fattore umano.
Cosa intende?
Il Perù per secoli ha accolto immigrati da tutto il mondo, e ognuno ha arricchito le nostre tavole con l’unione degli ingredienti locali e le ricette d’importazione: nascono così la cucina Chifa, figlia della comunità cinese, o la Nikkei, figlia di quella giapponese. Ma al contempo da noi si mangiano anche moltissimi panettoni, arrivati proprio dai migranti italiani, e oggi reputati un dolce tipico.
Dopo aver parlato così a lungo di quel che si mangia e perché, ci piacerebbe spendere qualche parola anche su ciò che si beve. Senza nulla togliere ai vini e alle birre peruviane, nulla rappresenta più il vostro paese del Pisco…
Quella del Pisco è una storia antica e affascinante: nel 1535, quando fu fondata Lima, vi fu piantata una delle prime vigne per poter fornire il vino da messa. Grazie al clima adatto, nel 1548 si contavano già 150.000 ettari di vigneti che resero il paese il più importante coltivatore del Sudamerica. Un successo che però non piacque a tutti: il Re Filippo II, sotto la pressione dei produttori di vino di Rioja e Ribeira del Duero, si vide costretto ad aumentare le tasse sui vini peruviani per impedirne, di fatto, l’importazione. Questo protezionismo provocò un accumularsi di scorte di vino in Perù, che non trovarono più sbocco sul mercato internazionale. Ed ecco da dove nacque l’idea di distillarlo, rendendo il Pisco di fatto presente tanto quanto il vino sulle tavole dei peruviani. Il resto è storia, il nostro distillato è amatissimo sia in patria che fuori, e oggi grazie anche al mondo dei Cocktail la sua diffusione non conosce più confini.
a cura di Federico Silvio Bellanca