C’è un nome che balena nella testa di tutti appena si inizia a parlare di alta cucina, quello di Carlo Cracco. Chef, brand, istituzione della gastronomia a livello internazionale, tra i maggiori rappresentanti in Italia e all’estero del saper cucinare (e mangiare) italiano. Alessandro Creta, allievo del Master in Giornalismo Comunicazione e Critica Enogastronomica del Gambero Rosso lo ha intervistato come prova del corso. Un compito importante: Carlo Cracco è stato tra i primi chef superstar della cucina italiana.
La forza comunicativa di Cracco
Non va sottovalutato il suo contributo, dal punto di vista comunicativo, nel rendere maggiormente fruibile un mondo fino a qualche anno fa a uso esclusivo di una nicchia di interessati o esperti. Anche grazie a Cracco, infatti, il mondo dell’alta cucina è entrato nei salotti degli italiani, prendendo sempre più piede nei palinsesti delle varie reti televisive. È stato lui - o anche lui - a rendere l'alta cucina più pop, diventando uno dei divulgatori mediatici che hanno portato l'alta gastronomia nelle case di chi di cucina (soprattutto di alta cucina) non si era magari nemmeno mai interessato.
Il progetto di formazione professionale a Palazzo Marino
E ora, con la sua associazione Maestro Martino, ha presentato al municipio meneghino un progetto per la gestione degli spazi del sottoutilizzato edificio comunale di Palazzo De Magistris (piazzale Cantore 10, vicino alla Darsena), da destinare alla formazione professionale di giovani cuochi. Si tratta di 1.369 metri quadrati su uno spazio complessivo di oltre tremila metri quadri per un affitto di 200mila euro all’anno, con l’obbligo di provvedere alle necessarie opere di restauro degli spazi. Un bell'investimento a Milano – se l’offerta sarà accettata dal Comune - che si aggiunge al suo faraonico progetto in Galleria, a Carlo e Camilla in Segheria e Carlo e Camilla in Duomo. Un network imprenditoriale di tutto riguardo per Cracco.
Difficile dire qualcos'altro di nuovo su un personaggio così famoso, dibattuto, a volte anche criticato (ma chi non lo è quando si raggiungono certi traguardi?) come Carlo Cracco. Noi abbiamo provato a farlo.
Chef, quest’anno il Gambero Rosso, nella sua guida ai Ristoranti d'Italia, ha modificato i criteri di giudizio, dando maggior peso specifico alla voce servizio. Lei su cosa punta per offrire un grande servizio, cosa chiede al suo personale di sala?
Il sevizio di sala per me è come quello di cucina, nel senso che non è che ci sia tutta questa differenza. È ovvio che per me, essendo cuoco, la cucina mantiene sempre quel qualcosa in più da dire rispetto a quello che può essere il servizio, ma credo che sia giusto e moderno dare un maggior valore alla sala, sono completamente d’accordo con il nuovo sistema di valutazione.
C'è rivalità tra grandi chef? Capita mai di guardare ai punteggi realizzati dai colleghi?
La rivalità non esiste, nel senso che chi è più bravo spinge gli altri a migliorarsi ancora. È motivo di sfida leale, di aspirazione, però non è che esiste solo l’essere più bravi, c’è anche il semplice essere felici e contenti del proprio lavoro e di come lo si fa.
Pensa che in questo mondo in cui si dà grande risalto alla spettacolarizzazione del prodotto finito, si rischia di mettere in ombra tutto ciò che c'è dietro la cucina, come la zootecnica, la pesca, l’agricoltura…?
C’è sempre il rischio, il problema è che si tratta di un mondo che non viene percepito dall’esterno, quindi è difficile anche da spiegare. Poi si può anche cercare di spiegarlo, ma la gente vuole vedere il piatto, il prodotto finito. È questo che interessa al cliente che si siede al ristorante. Poi se quel piatto è buono ed è fatto come si deve, con i prodotti giusti, il cliente è ancora più felice. L’emozione e l’esperienza legata al gusto sono quelle che ti fanno scattare la molla.
I media, secondo lei, riescono a veicolare una giusta informazione e una giusta immagine degli chef e della cucina?
Secondo me non si veicola un’immagine ben centrata del “mondo cucina”, si potrebbe fare molto di più. Non parlo però dei cuochi o di chef più famosi, che non hanno bisogno di notorietà, mi riferisco a tutto quello che c’è dietro a loro. Parlo più in generale di ciò che è racchiuso nella ristorazione: mi riferisco a quegli aspetti che ancora oggi sono irrisolti e sono alla base di uno sviluppo complicato di questo mondo. Bisognerebbe far luce sulla situazione legata ai contratti, le regolamentazioni dei ragazzi, i salari e così via.
Molti grandi chef ormai affiancano al loro locale principale dei ristoranti bistrot. È così difficile puntare su un unico ristorante di grande livello?
Il problema è molto più serio e profondo. Bisognerebbe sviscerarlo, soprattutto in questi momenti in cui c’è molto fermento e si parla tanto, magari si riuscirebbe a trovare una quadra, a mettere in risalto la questione. Invece si parla sempre di premi, riconoscimenti, celebrazioni, e non si mettono in risalto le cose più importanti, quelle che servono per il futuro del settore.
Parlando del suo ristorante, quale bilancio traccia di questi quasi primi due anni del Cracco in Galleria?
Sono più che soddisfatto, abbiamo raccolto molto più di quello che pensavamo e molto di più di quello che ci auguravamo. Siamo veramente contenti non tanto del lavoro fatto quanto per l’opportunità che stiamo creando per il futuro.
Per chiudere, come si trova in questa veste, meno rigida, di “Nella mia cucina” su Rai2?
Si tratta di un’attività bella e interessante ma è importante che, così come tutti gli impegni televisivi, rimanga una cosa di contorno, collaterale. Il mio primo impegno è stare in cucina, cucinare o anche disegnare una cucina, tutto il resto si fa anche perché serve pure per la comunicazione e per arrivare con maggiore facilità alla gente.
a cura di Alessandro Creta
Allievo del Master in Giornalismo Comunicazione e Critica Enogastronomica del Gambero Rosso