Alla ricerca degli ex allievi del Gambero: Alessandro Pietropaoli del Campocori al The Chapter di Roma

23 Feb 2022, 12:58 | a cura di
Chi sono e cosa fanno oggi gli allievi dei corsi di cucina del Gambero Rosso? Abbiamo frugato tra gli annali della Gambero Rosso Academy per trovar le tracce degli studenti più promettenti.


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La prime prove nei ristoranti sono state le stagioni estive nei ristorantini di Anzio, cittadina del litorale laziale in cui ha frequentato anche l'alberghiero, poi Alessandro Pietropaoli ha cominciato a fare le sue esperienze all'estero prima di tornare a Roma a frequentare il corso Professione Chef (che all'epoca si chiamava Professione Cuoco) del Gambero Rosso. Da allora ci sono state tante tappe insieme ai grandi nomi della cucina italiana: Michelino Gioia, Antonello Colonna, Vito Mollica e Antonino Cannavacciuolo, fino al momento di rientrare a Roma, dopo 13 anni. Alla guida di Campocori all'interno del The Chapter, hotel design dall'anima metropolitana di Roma, che dopo uno stop and go obbligato dalla pandemia, sta finalmente completando la sua offerta. Con il main restaurant che vede Pietropaoli ai fuochi, con la sua proposta che sa mettere a segno felici mix tra cucina nostrana e spunti internazionali: duettando con i sapori d'oriente – vedi l'anguilla 30 ore marinata con spezie asiatiche e laccata con aceto balsamico - riferimenti d'oltralpe - come nella zuppa di cipolle scomposta in due servizi – premendo il piede sull'acceleratore come nel signature tagliolino ricci di mare bufala e guanciale, ma che poi rientra nei confini familiari con cose come la minestra del Porto di Anzio o il pollo arrosto. Ecco la sua storia.

Quale corso hai frequentato?

Professione cuoco nel 2009

Dopo il corso cosa hai fatto?

Sono andato alla Posta Vecchia da Ladispoli quando c'era Michelino Gioia, Antonio Magliulo, l'attuale chef, era il suo secondo. Poi sono andato da Antonello Colonna e successivamente al Grand Hotel di Rimini. Infine sono andato a Milano, all'Armani Hotel dove ho fatto l'apertura.

Poi dove hai continuato?

Sono stato per due anni da Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi e da Vito Mollica al ristorante La Veranda del Four Seasons Hotel a Milano dove sono stato per 6 anni.

Prima di arrivare al Gambero avevi già esperienza di cucina?

Sì, avevo fatto le classiche stagioni nei ristorantini di Anzio. Posti in cui impari come si sfiletta un pesce. L'alberghiero non regala grandi insegnamenti, il Gambero Rosso e poi la Posta Vecchia mi hanno dato l'inquadramento necessario per lavorare nei ristoranti di un certo tipo.

Quale è stato l'insegnamento più importante in quel corso?

Tanti: c'erano grandi insegnanti, li ricordo tutti con grande piacere, da tutti ho preso qualcosa, e non solo per la tecnica ma anche per la passione, quando parlava Igles Corelli era sempre bello ascoltarlo.

Chi avevi come docente?

Nelle classi c'erano Antonello Migliore e Davide Mazza, che ho incontrato anche da Niko Romito, poi Sandro Masci e nella pasticceria Santini. Oltre a Igles, ovviamente.

Quindi se ti chiediamo chi è stato il tuo primo maestro, cosa rispondi?

Mia nonna e mia mamma: anche se non lo fanno di lavoro, sono due grandi chef. Loro mi hanno regalato questa grande passione per la cucina, devo tutto a loro due.

Quali sono le qualità necessarie per un bravo professionista?

In questo momento, tanta tanta voglia e tanta passione, che devono andare sempre di pari passo. Poi secondo me la cosa che non deve mai mancare è capire il perché delle cose. La curiosità, l'essere sempre bambini, avere sempre voglia di studiare e fare ricerca, leggere e provare: questo mi ha ripagato tanto. Una cosa che mi ha trasmesso mio padre.

In che modo?

Anche se è un ex carabiniere, ha avuto un negozio di frutta e verdura, mi ha spinto a capire tutto il mondo della ristorazione e alimentando la mia passione, spronandomi a fare non solo le stagioni estive, ma anche a imparare a fare il pane, a fare esperienze diverse: nelle pescherie, in gelateria e macelleria, sollecitando tante domande e tanti perché che oggi hanno ripagato. va anche per la passione.

Chi è il tuo punto di riferimento attuale?

Cannavacciuolo, che per me è un secondo papà, e poi anche Vito Mollica: li metto sullo stesso gradino.

Nessuna esperienza fuori dall'Italia?

Oltre ad aver fatto un inverno a Montecarlo, dopo essere stato a Rimini, sono andato fuori dall'Italia anche con il gruppo Four Seasons: al Grand Hotel du Cap Ferrat e poi al Cairo, dove sono andato ad aprire il ristorante italiano Bella.

Quanto conta andare all'estero?

Ma secondo me, oggi come oggi, un italiano deve prima imparare le nostre tradizioni poi passare a conoscere e contaminare con altro. A un ragazzo di 18 anni direi di andare un paio di anni a Milano: è un crocevia di culture, ci sono posti importanti, è sempre sul pezzo. Una tappa a Milano è fondamentale prima di andare all'estero.

E all'estero quali sono le tappe importanti, secondo te?

Scandinavia Francia Spagna. Ma prima deve stare qui

Quale è il piatto di cui sei più orgoglioso?

Di quelli pensati da me, il tortello di robiola, un piatto invernale che mi rappresenta molto. Racchiude tanto del mio percorso, con la pasta all'uovo fresca, la robiola di Roccaverano lavorata, condito con un brodo assoluto di recupero preparato con croste di parmigiano, di pane e scarti di mortadella, fatto di soli due elementi ma che apre il palato in tutto. E poi anche il plin di coda alla vaccinara, che in fondo è sempre un tortello, pur se diverso.

Perché sono così rappresentativi?

Perché sono legati a due passaggi importanti: l'Emilia Romagna e il Piemonte, che per me è la regione più bella gastronomicamente.

Invece il piatto che avresti voluto creare tu?

Da romano, la cacio e pepe con calamaretti spillo e gamberi rossi di Vito Mollica: una genialiata!

Un consiglio che vuoi dare a un giovane che intraprende la tua professione?

Ai ragazzi delle nuove generazioni dico che non è tutto facile, ma il duro lavoro ripaga sempre. E che è importante essere sempre un libro aperto, condividere il sapere e donarsi agli altri. La squadra è un pezzo di famiglia. Non credo alla visione dello chef come un generale e degli altri come soldati, credo che il tuo ristorante è la tua famiglia.

Mai pensato di passare da cuoco a imprenditore?

A oggi, no. Ho ancora voglia di spingere e di fare. Se proprio devo pensare a cambiare e  dedicarmi non solo alla cucina, in futuro, l'orizzonte in cui mi vedo è più quello come direttore dell'F&B. Sono propositivo, fantasioso e mi piace spaziare su altre cose e prendermi la responsabilità di tutto il comparto, non solo del ristorante.

Tre qualità che deve avere un cuoco, oggi

Molta passione, molta curiosità e molta generosità: deve mettere gli altri prima di sé.

Campocori – The Chapter – Roma – via di Santa Maria de’ Calderari, 47 – www.chapter-roma.com 

a cura di Antonella De Santis

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